lunedì 22 luglio 2013

Ho incontrato l'America, si chiamava The River




Ho incontrato l’America nel 1985.
Senza andarci, sia chiaro.
L’ho incontrata che era nascosta dentro il rock’n’roll, aveva una maglietta bianca sudata, gli stivali di cuoio e 80.000 persone intorno.
Era arrivata a Milano quell’America là, cantava Thunder Road, The Promised Land e Jungleland e si chiamava Bruce Springsteen.
The River era un’ armonica che suonava nel silenzio, ti toccava qualcosa là dentro e ti portava via. Io mi immedesimavo un sacco perché anche noi ragazzini di montagna si andava al fiume come il protagonista della canzone, solo che lui poi al fiume mette incinta una ragazza e per farlo bisogna che fai quelle cose che invece noi al fiume non facevamo mai.
Sono sempre stati molto avanti sti americani.
Faceva un gran caldo quella sera d’estate, Max Weimberg pestava su quei rullanti che era un piacere e io iniziai ad amare ed odiare quella maledetta America.
Quella canaglia infame mi ha provocato tanto amore e tanto odio come solo la sinistra italiana è riuscita a fare. 
Sempre che esista una sinistra italiana.
L’ho odiata talmente tanto quell'America che una volta ho persino tifato per Gheddafi contro di loro.
Per il CCCP sempre, ovvio.
Per Cuba poi non ne parliamo.
Però poi leggevo la grande letteratura americana, leggevo Bukowsky, McCarthy, Roth, Steinbeck.
Ma più che altro Stephen King.
Pesta Max…Bum Bum Bum…
L’America è una strada che di solito va dritta, preferibilmente verso ovest e di fianco è piena di Apache che ti vogliono fare un culo grande così.
Ha le nuvole azzurre nel cielo, questa cazzo di America che invade gli oceani blu.
L’America è fatta di basket e di crack, di fantascienza e di Casablanca, di dollari sporchi e di Steve McQueen.
E' fatta di petrolio e di fascisti e di marce per la pace.
E' un sax negro nella notte e un rullante che ti fracassa l’anima.
Bum Bum Bum.
L’America, checchè ne dicano gli americani, non c’entra niente con Dio.
L’America è tutta in terra, è vivere e morire e diventare grandi qua, tra lo sporco di grasso di motore di Detroit, le Montagne Rocciose e Timbuctù. 
Che non è in America ma ci stava musicalmente bene.
Bum Bum Bum.
L’America se ne fotte dell’eternità.
Io pure.
Almeno per ora.
L’America era quella macchina che noi ragazzi sognavamo di avere e che ai ragazzi di oggi pare non interessi più.
E’ molto bello perché si inquina meno, si rischia meno eccetera eccetera.
Ma una cosa non capisco: se non hanno la macchina, come fanno i giovani d’oggi ad andare da nessuna parte come facevamo noi?
Come diavolo fanno, i giovani d’oggi, ad andare al fiume?
Bum Bum Bum…
Questa sera quell’America che conobbi tanto tempo fa, tutta merda e zucchero filato, è dentro allo schermo di un cinema.
Si intitola “Springsteen and I”.
Ma si pronuncia “The river”.
Silenzio.
Armonica.
E rock’n’roll.

P.S.
Naturalmente io, in quell’America là, non ci sono andato mai.

martedì 16 luglio 2013

Che cos'è l'Amour



In balìa di un insperato pomeriggio libero, decido di spianare la giacca da intellettuale e infilarmi in un cinema dessè. Per chi non lo sapesse, i cinema dessè sono quelli in cui si vede male, l’età media è alta e le poltrone ti fanno il culo quadro.
Ma la tua giacchetta ci fa la sua porca figura.
Il film in programma è “Amour”, di Michael Haneke, quello che tutte le volte che va a Cannes vince una Palma d’oro, due Castagni d’argento, un Pino di platino e pure il Festival di Sanremo.
A me, per inciso, piace un sacco, sin dai tempi di “Guerre Stellari”.
Accomodatomi, per quanto possibile, in sala, mi guardo intorno e mi compiaccio della scelta: lo spettatore meno anziano ha 70 anni.
Ne consegue che io mi sento giovanissimo.
Buio.
Mentre il film evolve, capisco la portanza etimologica della trama. La quale è che una coppia molto anziana vive a Parigi e si ama tantissimo, così tanto che quando lei ascolta l’adorato Beethoven, lui spegne la Champion’s, indossa un sorriso di plastica preso al mercatino delle pulci e tira un sacco di madonne.
Però sottovoce, perché c’è tanto amour.
Al minuto 7 lei si ammala.
Strano perché era un fiore di ragazza, non lo si sarebbe mai detto.
La prima conseguenza in sala è che tutto il pubblico comincia ad accusare qualche dolorino, sfiorarsi lo sterno, toccarsi le balle. Questo sì che è immedesimarsi con le avventure del protagonista!
La storia ovviamente si fa un po’ straziante: l’incedere lento della malattia, il dolore, la difficoltà di rapportarsi al mondo, le tenerezze. Il regista con pudore glissa sul marito della donna, che in cucina tutto solo si spara il Paris Saint Germain e piscia sui dischi di Beethoven.
Io, che sono un cinefilo talmente serio che per questi film mi porto il termos di caffè da casa, sgancio la mia lacrimuccia di ordinanza e tiro su una goccetta col naso.
Subito mi arriva un fazzoletto dalla poltrona a fianco, dove la nonna delle gemelle Kessler mi sorride come avesse una paresi, mi fa l’occhiolino e si carezza una ciocca della parrucca.
Hai capito sti cinema d’essè che si cucca pure!
Purtroppo la signora non è del tutto il mio tipo - ma per poco, sia chiaro - così le mollo due etti di moccio nel fazzoletto e glielo restituisco.
Prima però lo ripiego e per gentilezza le faccio pure un tirino e mi passo la lingua tra le labbra, con evidente accezione pornografica.
Credo abbia avuto il ricordo di un orgasmo, ma non vorrei vantarmi troppo.
Certo è che si mette a fare la sostenuta e smette di guardarmi, la veterana di chissà quante battaglie.
Io mi faccio un sorso di caffè.
Glielo offro pure ma lei rifiuta.
Mah…nonne, valle a capire.
Poi il film finisce, a causa della sorprendente morte della malata.  
Io mi alzo, mi aggiusto la giacca da intellettuale e penso che forse Guerre Stellari era meglio.
Forse.
Mi avvio all’uscita, ascolto i commenti finto straziati di chi pregusta analogie tra il film e il destino della propria moglie, e appoggio una zampa sul chiappone screpolato della mia cara nonnina.
Un po’ perché ho deciso che, per una volta, vorrei vantarmi.
Un po’ perché non è bello vivere solo di ricordi.
E un po’ perché in fondo, nella vita, a far del bene ci si guadagna sempre.

P.S. Smentisco tutto: la signora non sembrava la nonna delle Kessler, ma di Iva Zanicchi, il film è bello e “Guerre Stellari” non è di Haneke.
E’ di Coppola…

giovedì 11 luglio 2013

Lo zoo della politica



Che poi in fondo son tutti delle bestie.
Falchi, colombe, pitonesse…ormai incontri più animali in Parlamento che allo zoo di Pistoia.
Brunetta sembra un pinguino, non tanto per la statura, perché in classe con me alle medie c’era un pinguino alto 1,90, ma perché mi ricorda Danny De Vito.
Che siano alti uguale è ovviamente un caso.
Fassino invece sembra il collo di una giraffa. E’ così fragile, sembra sempre sul punto di spezzarsi ma non c’è niente da fare, st’infame non si spezza mai.
Cicchitto è una civetta. Uno di quei rapaci con gli occhi grandi che capita di trovarsi in mezzo alla strada, nelle fresche notti d’estate sulle strade di montagna, quando freni e aspetti paziente che se ne vada.
Ora sai che puoi tirare dritto.
E dopo magari, per sicurezza, metti anche la retro.
D’Alema, non ci sono dubbi, non può che essere la volpe. Come mi diceva sempre mio nonno, che di politica ne capiva poco ma di bestie ne ha viste tante, dalle volpi è meglio stare lontano perché c’hanno la rabbia.
Sapessi quanta ce n’abbiamo noi, nonno.
Grillo è un leone. Sta sempre lì a ruggire e a far casino e cianciare di rete, ma mica muove le chiappe lui. Bello svaccato comodo nella sua savana e il culo se lo fanno gli altri.
Solo una cosa non ho capito: cosa cazzo se ne fa di una rete nella savana?
Orfini sembra un koala buono, mi viene una gran voglia di accarezzarlo e di dargli le foglie di eucalipto, se non fosse che già una volta l’ho fatto e st’ ingordo s’è mangiato tutto l’albero.
E che cazzo Orfini, ma non ti puoi mangiare un kebab come tutti i giovani turchi?
Gasparri, si sa, è un camaleonte. Anche se a onor del vero bisogna riconoscergli che non è uno che cambia molte pelli.
Stronzo era e stronzo rimane.
Civati sembra una tortora, col piumaggio bello pulito e un’andatura nobile. Quello che non capisco è perché si ostini a fare il nido nello stesso albero in cui ha fatto il nido la volpe. Che poi la volpe ti abbaia contro, tu voli via e un cacciatore t’impallina. Dopo diventa un casino spiegare che è stata la volpe…
Fini somiglia al dodo, il celebre pennuto bizampoide mentinivoro destrorso.
Estinto.
Con tanti rimpianti.
Cioè…per il dodo, non per Fini.
Vendola è una papera. Parla pure come Donald Duck, che ancora non ho capito come mai Zio Paperone non dà una sberla per ogni sputacchio che gli parte.
Però finalmente ho capito perché Vendola strizza sempre gli occhi. Non sono mica tic.
Sono sputacchi che fanno centro.
Capezzone è un holoturia tubulosa, altrimenti detto cetriolo di mare.
Ma assai più spesso detto str…
Vabbè ci siam capiti.
L’unica differenza con lo stronzo è che lo stronzo è meglio non pestarlo.
Franceschini è uno struzzo, non tanto per somiglianza fisica ma perché mangia di tutto e nonostante gli incitamenti della folla non c’è mai nulla che gli vada per traverso.
Hanno perfino scritto la Legge di Murphy numero 1.256: “Se qualcosa può andare per traverso a Franceschini, non lo farà”   
La Santanché, l’ha detto lei stessa, è una pitonessa.
Ottimo, così c’è speranza che Louis Vuitton la noti e la renda borsetta.
Bersani è uno scimpanzè: uno di quelli con la crapa pelata, il sigaro in mano che sembra la banana, la risata sempre in canna ma l’aria spesso triste.
No Pier, non c’è più Tarzan, ti devi arrangiare da solo.
Nel partito come nella vita.
Speranza è quello col collo lungo e la faccia lunga e gli occhioni da orata.
La Lorenzin è quella col collo lungo e la faccia lunga e gli occhietti da jena.
Com’è confortante sapere che i nostri ospedali sono in mano sua. Metti sfiga dovessi ammalarmi vado a curarmi in Namibia.
Così scopro cosa se ne fa della rete quello là.
La Gelmini pensavo fosse una talpa, per via di sto fatto che non ci vede molto bene, ma poi m’è cascata sul tunnel e allora m’è venuto un dubbio: data l’ignoranza, non sarà mica una capra?
Boccia è una quaglia.
Non sto a spiegare perché.
La Russa è un paramecio.
Non so cosa sia, l’ho scordato, ma per fortuna anche di La Russa si sono perse un po’ le tracce e sto riuscendo a dimenticare pure lui.
Sì, so che è impossibile.
Poi c’è quello grande, il più importante di tutti, il bestione supremo. Per via di alcune malignità e di un vecchio modo di dire delle mie parti, relativo alle occupazioni preferite di tali simpatiche bestiole, mi verrebbe da pensare che sia un riccio.  Ma i ricci finiscono spesso sotto le macchine e a me in quel caso spiacerebbe davvero un sacco.
Non avere un tir.
Potrebbe essere un maiale, sempre per via dei suoi hobby, ma mica voglio pensare a lui ogni volta che mi ritrovo tra i denti una braciola. Allora forse un biscione, come logico, ma quello quando mai ha strisciato una volta in vita sua?
No, ho deciso che è qualcosa di più, qualcosa di leggendario e di mostruoso, la creatura più abominevole del mondo: il calamaro gigante!
Sto cazzo. Quello sta nascosto negli abissi e non si mostra mai, questo qua invece è sempre in tivù. No, non c’è niente da fare, bisogna rassegnarsi e riconoscere che quello non è una bestia, è qualcosa di più.
E’ il padrone dello zoo.
Poi ci sono tutti gli altri: alcuni sono conigli, per via della paura, altri sono vermi, per via del loro spirito etico, altri sono avvoltoi.
Altri ancora sono Renzi.
Poi c’è qualche sparuto dromedario, anima raminga nel deserto morale che ci circonda.
Infine ci siamo noi.
Anche noi siamo bestie, che volano e ronzano su questa enorme ed eterna massa maleodorante che ci avviluppa da sempre.
Siamo tante, siamo 60 milioni.
Di mosche.