In balìa di un
insperato pomeriggio libero, decido di spianare la giacca da intellettuale e
infilarmi in un cinema dessè. Per chi non lo sapesse, i cinema dessè sono
quelli in cui si vede male, l’età media è alta e le poltrone ti fanno il culo
quadro.
Ma la tua
giacchetta ci fa la sua porca figura.
Il film in
programma è “Amour”, di Michael Haneke, quello che tutte
le volte che va a Cannes vince una Palma d’oro, due Castagni d’argento, un Pino
di platino e pure il Festival di Sanremo.
A me, per
inciso, piace un sacco, sin dai tempi di “Guerre Stellari”.
Accomodatomi,
per quanto possibile, in sala, mi guardo intorno e mi compiaccio della scelta: lo
spettatore meno anziano ha 70 anni.
Ne consegue
che io mi sento giovanissimo.
Buio.
Mentre il
film evolve, capisco la portanza etimologica della trama. La quale è che una
coppia molto anziana vive a Parigi e si ama tantissimo, così tanto che quando lei
ascolta l’adorato Beethoven, lui spegne la Champion’s, indossa un sorriso di
plastica preso al mercatino delle pulci e tira un sacco di madonne.
Però sottovoce,
perché c’è tanto amour.
Al minuto
7 lei si ammala.
Strano perché
era un fiore di ragazza, non lo si sarebbe mai detto.
La prima
conseguenza in sala è che tutto il pubblico comincia ad accusare qualche
dolorino, sfiorarsi lo sterno, toccarsi le balle. Questo sì che è immedesimarsi
con le avventure del protagonista!
La storia
ovviamente si fa un po’ straziante: l’incedere lento della malattia, il dolore,
la difficoltà di rapportarsi al mondo, le tenerezze. Il regista con pudore
glissa sul marito della donna, che in cucina tutto solo si spara il Paris Saint
Germain e piscia sui dischi di Beethoven.
Io, che
sono un cinefilo talmente serio che per questi film mi porto il termos di caffè
da casa, sgancio la mia lacrimuccia di ordinanza e tiro su una goccetta col
naso.
Subito mi
arriva un fazzoletto dalla poltrona a fianco, dove la nonna delle gemelle
Kessler mi sorride come avesse una paresi, mi fa l’occhiolino e si carezza una
ciocca della parrucca.
Hai
capito sti cinema d’essè che si cucca pure!
Purtroppo
la signora non è del tutto il mio tipo - ma per poco, sia chiaro - così le
mollo due etti di moccio nel fazzoletto e glielo restituisco.
Prima
però lo ripiego e per gentilezza le faccio pure un tirino e mi passo la lingua
tra le labbra, con evidente accezione pornografica.
Credo
abbia avuto il ricordo di un orgasmo, ma non vorrei vantarmi troppo.
Certo è che
si mette a fare la sostenuta e smette di guardarmi, la veterana di chissà
quante battaglie.
Io mi
faccio un sorso di caffè.
Glielo
offro pure ma lei rifiuta.
Mah…nonne,
valle a capire.
Poi il
film finisce, a causa della sorprendente morte della malata.
Io mi
alzo, mi aggiusto la giacca da intellettuale e penso che forse Guerre Stellari
era meglio.
Forse.
Mi avvio
all’uscita, ascolto i commenti finto straziati di chi pregusta analogie tra il
film e il destino della propria moglie, e appoggio una zampa sul chiappone screpolato
della mia cara nonnina.
Un po’ perché
ho deciso che, per una volta, vorrei vantarmi.
Un po’ perché
non è bello vivere solo di ricordi.
E un po’
perché in fondo, nella vita, a far del bene ci si guadagna sempre.
P.S.
Smentisco tutto: la signora non sembrava la nonna delle Kessler, ma di Iva
Zanicchi, il film è bello e “Guerre Stellari” non è di Haneke.
E’ di
Coppola…
Riso di gusto. E Amour è un capolavoro. Com'è andata poi con la nonnina???
RispondiEliminaSantonas
ehh...oggi che ha fatto meno caldo va meglio, ma i giorni scorsi è stata dura. Continua a dire "dai che potrebbe essere l'ultima", ma non schiatta mai. Però fa un'eccellente minestrina in brodo col formaggino.
Elimina