Nell’estate
del 2015 Bari viveva uno strepitoso boom turistico. Da tutto il mondo giungevano
comitive di visitatori a godersi il sole e le bellezze architettoniche della
capitale pugliese: americani, cinesi, tedeschi, boliviani, svizzeri. Alla
pensione Vincenzo s’era prenotato persino un pullman di geometri di Katmandu.
Le
ragioni di questo successo erano inspiegabili. Mentre gli operatori del settore
brancolavano nel buio, battendo capocciate contro gli stipiti delle agenzie
turistiche, i politici locali scuotevano la testa, allargavano le braccia e
sorridevano a 32 denti, perché una comitiva di giapponesi s’era intrufolata in
Regione e stava sempre a scattare foto. I giornalisti compatti facevano i
complimenti a Vendola, che non sapeva cosa dire e ripeteva a tutti che la
situazione era dirimente, anche a chi gli chiedeva l’ora.
Ma
l’irruzione di Bari sullo scacchiere turistico internazionale non poteva essere
indolore. Ci fu chi masticò amaro, chi bevve l’amaro calice, chi disse che erano
cazzi amari: insomma, nei Touring Club di mezzo mondo si profilavano tempi per
diabetici. La Sardegna arrancava, la Grecia si disperò, le Seychelles fallirono
e Santo Domingo tentò il riciclo come meta sciistica, cambiando nome in Santo
Domingo di Cadore per cercare di infarloccare il turista meno sgamato. In
Thailandia si cominciarono a produrre orecchiette alle cime di rapa false, ma
neanche la concorrenza di qualità venne premiata dal mercato.
Su
tutto svettarono le parole del sindaco di Miami, che affrontò il problema da un
punto di vista semantico e dettò una dichiarazione alle agenzie di stampa
destinata a restare negli annali: “The situation is diriment”.
Per
fortuna qualcuno volle andare in fondo al problema: il presidente delle
Maldive, disperato perché i calciatori italiani ora preferivano farsi
paparazzare a Molfetta, mandò una spia per carpire i segreti di quel clamoroso
successo.
Ed
ecco l’agente Pat Healy giungere a Bari direttamente dai 40 gradi maldiviani: era
“la spia che venne dal caldo”. Pat era un grande professionista e per
nascondere la sua natura di agente segreto maldiviano aveva scelto un metodo
ingegnoso: si era travestito da agente segreto svedese! Capelli dorati, pelle
argentata, mascella di platino e zaffiri negli occhi, era il travestimento più
costoso della storia dello spionaggio mondiale, una roba che in confronto
l’uomo da sei milioni di dollari sembrava un pezzente. Per dare un ulteriore
tocco di svedesità al suo look, Pat indossava una t-shirt di Francesco
Guidolin, che c’entra con la Svezia come Nelson Mandela con l’Estonia, però ho
letto che Guidolin è nato lo stesso giorno di Ibrahimovic e comunque sentivo il
bisogno di scrivere una minchiata.
Pat si
affacciò in spiaggia e rimase allibito di fronte a quel muro umano che gli
impediva di arrivare al mare e vedere quale prodigio naturale potessero mai
essere quelle acque così rinomate. Provò ad avanzare a spallate ma non riuscì
ad aprirsi una breccia, tentò la perforata di testa ma incocciò la pancia di un
idraulico di Bisceglie, che avendo appena pranzato a melanzane fritte era
particolarmente elastico, tanto da farlo rimbalzare indietro di 50 metri. Pat
decise di sdraiarsi e strisciare sotto la massa balneante, ma finì dentro una
pista per biglie e venne picchiato da una baby-gang di Monopoli, che in omaggio
alle proprie origini aveva monopolizzato il settore del gioco da spiaggia.
Ma Pat
non si perdette d’animo e puntò su un sistema sicuro. Tirò fuori il telefono e
in perfetto barese da spiaggia gridò: “Mario carissimo! Cosa?? Svendita totale
nel negozio di elettrodomestici qui di fronte??? Mannaggia li megghiu muerti toi
squagghiati e spurisciati se vengo! Arriv prima di tutti gli altri!!”. La spiaggia si svuotò in 1 minuto e
14 secondi, si contarono 38 feriti, 90 contusi e un morto: il negoziante di
elettrodomestici che davanti alla marea montante tentò di fare lo gnorri,
dicendo che lui non sapeva di nessuna svendita.
Pat
ora aveva la spiaggia tutta per sé e poteva finalmente guardare quel mare che
stava dando del filo da torcere a tutti. Lo guardò, lo riguardò, lo guardò
ancora, poi appoggiò il filo che stava torcendo e chiese a un pescatore: “Scusi,
ma l’acqua dov’è?”.
“Cu
minchia voi?”, rispose l’uomo, poco avvezzo all’ironia svedese di stampo
maldiviano.
Pat si
avvicinò alla battigia e guardò perplesso le onde che sciabordavano verso riva,
poi scrollò le spalle, disse: “Mah…si vede che quest’anno va il grigio”. E se
ne andò.
Nei
giorni seguenti Pat si mischiò alla popolazione locale, per vedere se il
segreto di quel successo risiedeva nelle capacità di accoglienza della
cittadinanza. Cercando di imitare le abitudini degli indigeni, finì per mangiare
giorno e notte come un maiale, poi si stufò perché la ghianda gli risultava
indigesta e passò al classico panino pugliese. Fu subito amore. Pat scoprì
sapori mai provati prima, capaci di sciogliere palati raffinati abituati a
caviale, aragoste, ostriche e champagne. Quindi figuriamoci se non scioglievano
il suo che mangiava zuppa di porri e crauti da anni.
Dopo
tre giorni di panini, al colmo dell’estasi e del girovita, Pat venne colto da
una lieve curiosità e chiese cosa fossero mai quei deliziosi manicaretti di
carne che ne costituivano la farcitura. Scoprì così di aver mangiato per tre
giorni cavallo, delizioso ma è un po’ seccante da mandar giù per uno che va al
maneggio da quando ha tre anni, possiede un allevamento di pony e sul
comodino ha la foto di Furia. Autografata.
Pat ebbe
una crisi isterica e picchiò un ferroviere di Los Angeles, che veniva a Bari
per la prima volta e siccome era sadomasochista dice che tornerà prima
possibile. Poi aggiustò il tiro e cercò di picchiare una anziana che vendeva
panini e in due giorni gli aveva rifilato mezzo Varenne, ma si sa che menare le
donne del sud non è per niente facile e così Pat dovette scappare
ignominiosamente.
Le
cose si stavano mettendo male, il nostro era lì da quattro giorni e non aveva
ancora cavato un ragno da un buco. Così si presentò in Regione per conoscere
colui che pareva essere l’artefice ultimo del grande successo di Bari.
“Mister
Vendola, I suppose”, disse Pat.
“Dirimente”,
disse Nichi.
E fu
subito amore numero due. La cosa è strana perché fino al giorno prima di
partire Pat era parecchio eterosessuale: in carriera si era fatto tutte le
maldiviane, molte tongane, qualche fijana e aveva pure una simpatia per una
tizia di Ladispoli, conosciuta in Indonesia a un concerto di Nicola di Bali e
poi trombata varie volte via mail. Ma l’irresistibile fascino di Nichi lo stregò,
così Pat svalvolò e da quel momento iniziò a fare dei reportage sballati al suo
capo, in cui narrava la Puglia come il posto più bello dell’universo, dove si
mangia da Dio, il mare è uno spettacolo, le donne son bellissime, gli uomini poi
non ne parliamo e se le Maldive sparivano sotto l’acqua alta del disgelo
causato dal buco nell’ozono che si è riscaldato per via dell’effetto serra, lui
se ne fotteva alla stragrande.
Pat
raggiunse Vendola. Nichi era impegnato in un rinfresco per una comitiva di
siberiani, ma si mostrò molto gentile e gli offrì del caviale.
“Arriva
dalla Russia”, disse Vendola.
“Con
amore?”, alluse Pat.
“No,
con l’aereo”, disse Nichi.
Pat si
sdilinquì nonostante Vendola non sembrasse affascinato dalla sua mascella sagomata
a biliardo. Si toccò i biondi capelli cercando di mettersi in mostra, ma Nichi
dissimulava alla grande, tornando ad occuparsi degli ospiti siberiani.
Ma un
ulteriore problema arrivò ad intralciare i piani di Pat: il biondo
maldiviano-svedese infatti si ritrovò tra le mani una gatta da pelare. Viste le
strane abitudini culinarie del luogo si convinse fosse per il brodo, così
iniziò a strapparle i peli tra miagolii di protesta, ma poi capì la metafora,
gettò via la micia e il problema si presentò in tutta la sua urgenza: in un
angolo, intento a sorseggiare un Negramaro dell ’87, c’era Ted Stroehmann, un agente
segreto appena uscito di galera. Era “la spia che venne dal fresco”.
Pat lo
raggiunse con passo felpato da agente segreto.
“Cosa
ci fa una spia come te in un posto come questo?”, chiese, ormai propenso a
tacchinare tutti gli uomini che incontrava.
“Pensavo
di dire a tutti che sei delle Maldive”, rispose l’altro.
“Ah…fai
la spia!”, disse Pat.
“Ovvio,
è il mio lavoro”, disse Ted.
“Ma lo
sai che chi fa la spia non è figlio di Maria?”, azzardò Pat, a corto di
argomenti.
“Cazzo
me ne frega, mia madre si chiama Jennifer”, chiuse Ted.
Pat
scornato bofonchiò tra sé un “diriment…”, poi si allontanò e decise di
assassinare il rivale. Per ogni evenienza, Pat teneva sempre un kalashnikov
pieghevole in un doppiofondo dell’otturazione del molare anteriore destro, ma
per recuperarlo ci voleva un dentista e con quello che costano in Italia era
meglio lasciar perdere. Così si sfilò una lente a contatto, realizzata in pasta
di cianuro e solubile in acqua, e la gettò nel tazzone del ponch. Ma dopo un
quarto d’ora la lente non accennava a sciogliersi visto che, come si è detto, era
solubile in acqua, mica nel ponch. Pat maledisse gli avi e anche i jpeg e optò per
lo scontro diretto: raggiunse Ted a mani nude, si schioccò le dita, i gomiti e
il naso, fece la classica mossa alla Bruce Lee e ringhiò al nemico: “E’ giunta
la tua ora…”
“Oh
cazzo è vero!”, disse l’altro guardando l’orologio. “Grazie Pat! Se non chiamo
mia moglie alle 9 precise mi fa delle scenate tremende. Ah se per caso pensi di
farmi fuori col kung fu sappi che sono cintura nocciola”.
Mentre
Pat interdetto si chiedeva a che livello di perizia corrispondesse il nocciola,
l’altro gli tirò una gomitata nel plesso solare, una ginocchiata nel
quadricipite femorale e un calcio in culo, che fa meno male ma è più umiliante
e di solito fa più ridere.
Pat era
sconfitto. Quella spia si era dimostrata troppo forte per lui e il
travestimento ormai era saltato. Vi immaginate cosa sarebbe potuto accadere se fosse
trapelata la notizia di un agente segreto maldiviano travestito da spia svedese
che indaga sul turismo barese?
…
No?
Beh, insomma
non sta bene, è evidente.
Pat
dovette abbandonare la sala, il che era seccante perché aveva adocchiato il
presidente di una municipalizzata e si era quasi al “ed è subito amore numero
tre”. Così si ritrovò in strada, costretto ad allontanarsi dai fasti della
politica locale e da quel governatore così fascinoso. Per le vie del centro era
tutto un pullulare di turismo: c’era chi faceva shopping, chi giocava a
racchettoni, chi si sdraiava a prendere il sole in mezzo alla via principale.
Pat si perse, rapito dai mille colori di tutto quel mondo riunito a Bari, un
mondo che ballava pizzica, samba, mambo, terno, quaterna, valzer e rock’n’roll.
C’erano dervishi rotolanti, funamboli ammalianti e pagliacci esilaranti.
Anche
ubriachi rantolanti, va detto.
Pat,
con la zazzera dorata carezzata dalla brezza marina, osservava incredulo tutta
quella bellezza. Era a Bari da soli dieci giorni ma era totalmente sconvolto.
Quelli
furono infatti “i dieci giorni che sconvolsero il biondo”.
Ora
finalmente aveva capito che c’era qualcosa di strano in quell’aria, qualcosa di
magnetico. Non era la salsedine che giungeva dal mare, non era l’aroma dei
cavalli che sfrigolavano sulle piastre e neanche un’eco lontana dell’Ilva di
Taranto. Era il profumo indefinito del sole, quella sensazione balsamica di
benessere che avvolgeva il viso di Pat col tepore dei suoi raggi, che diventava
calore e scaldava, scaldava sempre più. A Pat si squagliò il cerone, poi la
tintura ai capelli, infine il botox con cui si rifece il look anni prima.
Ora quell’uomo
non sembrava più una spia del nord, era tornato finalmente sé stesso, un
semplice maldiviano fra tanti, un uomo gentile che come tutti impazzisce, perché
non c’era modo di sottrarsi a quella gioia collettiva.
Non
c’era modo, in quella folle estate del 2015, di non essere tutti pazzi per
Bari.