mercoledì 22 ottobre 2014

Il mio amico F.T.



Qualche anno fa, in un autunno della mia vita un po’ più freddo di questo, mi ritrovai chiuso in casa a percorrere le vie più remote della cinematografia mondiale. Accadde per caso: qualcuno mi regalò un dizionario tipo Mereghetti e io per gioco misi i pallini a fianco dei film dei registi, a fine volume, per scoprire di quale maestro avevo visto l’opera completa. Risultò che l’unico cineasta, vivo o morto, di cui non mi ero perso nulla era Sylvester Stallone. Mi parve il caso di intervenire. Munito di tessera del fido Balboni e di pomeriggi liberi per via di un lavoro serale, ricominciai a “metter pallini” sul dizionario. Qualche mese e alcune decine di film dopo tornò l’estate e io smisi di fingermi quel cinefilo che non ero. Oltre a tutte le storie e ai mondi e ai tempi che avevo visto,  tante immagini si erano fissate per sempre nella mia mente, col potere dell’imprinting che solo il cinema visto da ragazzini credevo potesse avere: il colore vivido e struggente delle foglie d’acero in “La congiura degli innocenti”, il sudore malvagio e giusto di Hank Quinlan in “Touch of evil”, le dita tatuate di odio e amore del reverendo Harry Powell, nell’oscuro e folgorante “La morte corre sul fiume”.
Poi c’era la Parigi in bianco e nero di Francois Truffaut. Non so dire perché mi colpì così tanto, forse perché quando pensi all’amore e ti chiedi dove metterlo, non può che venirti in mente Parigi; o forse perché quegli interni modesti e quelle fughe per strada somigliavano alla mia infanzia, di qualche anno più recente rispetto a quella di Antoine Doinel e masticata in una Bologna più piccola e provinciale. Ma quel bianco e nero sbiadito era lo stesso dei miei ricordi, quel mondo sospeso tra la guerra e il futuro era la giovinezza dei miei genitori, quegli sguardi innocenti di bambini erano tutta l’umanità che mi sentivo dentro.
Misi tanti pallini al mio nuovo amico F.T. Misi tutti i pallini che era possibile mettere, dalla fantascienza assassina di libri in “Farehneit 451” alle storie di cinema di “Effetto notte”, dalla vendetta nuziale di “La sposa in nero” alle gambe delle donne che come compassi “misurano il globo terrestre in tutte le direzioni”, ne “L’uomo che amava le donne”.
E’ morto da 30 anni F.T. 
Io nel frattempo ho messo altri pallini e continuo a non fingermi quel cinefilo che non sono. Ma anche in quel poco che so, riconosco che quello sguardo al cinema, umano e confortevole come una carezza sul capo, da almeno 30 anni non c’è più.

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