mercoledì 18 novembre 2015

Dell'esibizione del lutto


Continuo a mal sopportare questa retorica indossata da tanti in queste luttuose occasioni. La retorica tardo internazionalista e paleo-cristiana che racconta che i morti son tutti uguali. Non è vero. Il dispiacere per la perdita di vite umane dipende dalla nostra distanza emotiva dal lutto. E’ un fatto di una banalità e di una ovvietà sconcertante, se solo si pensasse ai lutti in famiglia, eppure ogni volta che muore qualcuno, si parli di singoli o di moltitudini, sentiamo levarsi la pletora degli indignati che dicono “però per quelli là non avete sofferto così”.
E’ vero.
Confesso.
Per quelli là non ho sofferto così.
E neanche voi.
O forse volete dirmi, amici della mia città, che 85 morti sconosciuti in Zimbabwe vi toccano quanto 85 morti sconosciuti alla stazione di Bologna?
Volete raccontarmi che i morti del terremoto dell’Aquila vi amareggiano quanto quelli di un terremoto in Cina?
Volete davvero negare che i morti nelle strade di Parigi, laddove siamo stati tutti e vi abbiamo amato e riso e bevuto buon vino, sono diversi da quelli di Beirut?
Quello che non capisco è: perché credete che ammettere questo fatto celi un razzismo di fondo, una svalutazione delle vite lontane, invece di raccontare SOLTANTO una vicinanza con anime affini?
La stessa cosa accade ogni volta che muore una persona famosa. La gente racconta sui social il proprio dolore e s’alza forte il grido “quando muore un operaio non succede tutto sto casino!”
No, non succede.
E non succede neanche quando muore un imprenditore.
Un disoccupato.
Un giardiniere.
Un bidello.
Un barista.
Un giocatore di bridge.
Non è solo l’uniformarsi a un costume benvoluto dalla società, e non è il disinteresse intimo verso problematiche sociali.
E’ che la persona famosa ci ha regalato emozioni che hanno contribuito a fare di noi ciò che siamo.
La persona sconosciuta no.
La persona nota ci è emotivamente vicina.
La persona altra no.
Il mondo intimo di ciascuno di noi, che vi piaccia o no, è diviso in noi e gli altri.
Che non sono peggio di noi, che non sono meno di noi.
Sono solo gli altri.
Questo non significa che non dobbiamo indignarci o incazzarci per le morti assurde sul lavoro.
Dobbiamo protestare e porvi rimedio mediante LA POLITICA.
Intesa in senso primitivo e genuino.
Ma significa che non mi dovete frantumare i coglioni ogni volta che esprimo un mio sentimento intimo e mi sento scosso.
Perchè per una volta, araldi avvelenati del pensiero negativo, potreste provare a credere che ciò che sembra, semplicemente, è.
Il dolore è dolore.
La vicinanza è vicinanza.
I cazzi miei, santa banana, son cazzi miei.

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