Rimini,
agosto 1967. Il sole scintilla sulle giovani vite di tre vitelloni romagnoli,
dalla pelle color del rame, la chioma fluente e il ventre piatto come una
piadina. Jack, John e Mario sono i re della riviera: appena il vento si alza e
il mare si increspa i loro pedalò sfrecciano veloci davanti alla spiaggia che
freme per i propri eroi. Gli italiani li adorano, le tedesche li divorano, gli
albanesi li menano. I tre infatti si addormentano spesso sul pattìno e
finiscono a Durazzo, dove il tipo umano romagnolo ancora non convince del tutto,
così spesso il meeting finisce a schiaffoni.
Un
giorno quelle vite felici e spensierate subiscono un duro trauma: vengono
mandati in Vietnam! Il che è una bella sfiga considerando che non si ha mai
avuta alcuna notizia di italiani in Vietnam, ma purtroppo la sorte decise di entrare
in scivolata sui tre ragazzi e cambiare per sempre il loro destino. Un futuro
terribile li attende nei meandri più cupi della jungla asiatica…
Rimini,
settembre 2014. Quarant’anni dopo, i nostri eroi ritornano nei luoghi della
felicità perduta. Tutto è cambiato attorno a loro e con amarezza si rendono
conto che gli italiani non li riconoscono più, gli albanesi chi lo sa, ma le
tedesche sicuramente sì: i tre infatti vengono circondati da un nugolo di
pensionate di Dusseldorf, che millantano di aver avuto figli da loro e
pretendono un po’ di revival, o al limite un assegno di mantenimento. Non era
così che sognavano il ritorno a casa, durante quegli anni così duri in cui
cantavano Romagna mia mangiando
tagliolini e squartando Vietcong.
Ma se
Rimini è cambiata, i tre lo sono anche di più. Jack era il più coraggioso di
tutti: si gettava col paracadute dalle mongolfiere perforando le nuvole,
pescava squali con le mani e traversava l’Oceano Pacifico in pedalò, senza
bussola, bendato e con un bengala nel culo. Ora persino la sua ombra gli fa
paura, mentre quella degli altri no, così appena c’è un po’ di sole Jack attacca
briga pestando pedate per terra e gridando “fatti sotto, coniglia!”, ma nessun’ombra
risponde alle provocazioni.
John
invece era il più grande playboy di tutto il Mediterraneo. Era talmente
desiderato da dover distribuire i numerini del supermercato e girare con un
display digitale in fronte. Aveva un fascino così micidiale che quando
schioccava le dita a Gabicce volavano mutandine a Ibiza. La sua bocca era
leggenda e negli occhi aveva le braci. Jack glielo diceva sempre: “Fatti meno
canne che si vede, poi se non ti metti il collirio tua madre ti becca”, ma John
tirava dritto per la sua strada, stracciando il “record di devastazione di
matrimonio teutonico” appartenente al mitico Rebecchi Alfio, detto Schopenauer,
piadinaro di Riccione che nel dopoguerra vendicò la patria sabotando 132
famiglie tedesche, armato solo di lombi e fascino latino.
Ora
Jack odia le donne: dopo essersi fatto mezzo sud est asiatico, un quarto del
nord ovest australiano, tutto il Suriname, Padova e tre sorelle in Canadà, si
ritrova con quattro divorzi e tre mogli da mantenere, perché per fortuna la
quarta è morta e bisognerà pur farsene una ragione.
Il
terzo eroe, Mario, era celebre per il suo stomaco d’acciaio. Inutile ricordare
ora le sue leggendarie imprese, basta dire che una volta mangiò una cozza
pescata a Marina di Ravenna. Cruda. Senza limone. E persino senza caffè e
ammazza-caffè. Ora Marione non mangia più: ha l’intestino stiptico, l’esofago
disfagico, il fegato cirrotico e la moglie di Chicago, una salutista che lo rimbrotta
con voce garrula: “Mario don’t eat the anacards, please!!!”.
“Muori
puttana”, ringhia lui eroico. Poi getta con rimpianto l’anacardo.
Ora i tre
guardano il mare, tracannano una damigiana di sangiovese e pensano ai casi
loro. Non è giusto che sia finita così, non c’è rispetto, non c’è gloria per i
reduci di una guerra spietata!
“E
poi, da quand’è che i cani cagano in spiaggia, perdio!”, grida Jack pulendosi
il piede su una sdraio.
Così,
strafatti di vino, decidono di vivere un’ultima giornata di gloria, per
mostrare al mondo che il tempo passa, le stagioni muoiono, ma le palle dei
romagnoli restano! Occorre fare dell’eroismo subito, perché la situazione sta
precipitando: Jack ha litigato con l’ombra di un bagnino e le ha prese, Mario
ha scoperto d’essere allergico anche alla mozzarella e John è entrato in
depressione dopo aver visto la Merkel in tv. Si è convinto che quella sia
l’Angela che si fece a Cervia nel 66 e ha paura che il male che lei sta facendo
all’Europa derivi dal fatto che non la trombò a sufficienza.
I
nostri eroi partono per l’impresa! Rubano tre pedalò, bevono altre quattro
damigiane ed escono in mare in un giorno di burrasca. I loro corpi non hanno
più il colore del rame, i capelli non fluiscono più al vento e non c’è alcun
sole a scintillare sul loro futuro, ma i cuori sono impavidi, le anime sono
intrepide e le panze sono flaccide. La voce si sparge rapidamente e sulla
spiaggia, a seguire le gesta dei tre gloriosi reduci, c’è tutta la Romagna che
conta: ragionieri di Milano Marittima, commercialisti di Riccione, persino un
arbitro di pugilato di Forlì. Ed ecco i tre mulinare le gambe con lo stesso
vigore dei vent’anni, ecco i pedalò sfrecciare come razzi sulle onde impetuose,
ecco i primi applausi salire al cielo. E’ una rivincita sul tempo, sul destino,
sulle beffe della storia. I pedalò volano sul mare, sgretolano dubbi,
incertezze, banchi di sardine e la nazionale di nuoto sincronizzato che si sta
allenando per le Olimpiadi. Anche i cuori più diffidenti esultano: sulla
battigia si fa la ola, si balla la macarena, ci si tocca a vicenda con
l’innocenza dei tempi andati. E’ un trionfo!
Ma c’è
un imprevisto…
Dalla
nebbia che oscura l’orizzonte sbuca un barcone di disperati albanesi di
Durazzo, che puntava su Brindisi ma ha virato dopo che uno ha iniziato a
gridare: “Rimini! Fellini! Cocoricò! Gnocca!”. Ora, se i nostri stanno
riuscendo a dimostrare che per qualcuno il tempo non passa, gli albanesi ci
riescono ancora meglio e appena sentono aroma di vitellone romagnolo si mettono
all’inseguimento dei pedalò. C’è poco da fare, ci sono delle etnie al mondo che
proprio non s’azzeccano. E’ come un’orda barbara che si scatena percuotendo gli
elementi: il mare frigge, l’aria rugge, la terra piange e i bambini fanno ‘ohh’.
I nostri realizzano la mala parata e scappano verso sud, possono farcela perché
hanno forza, hanno l’ardore dell’orgoglio ferito, hanno la frustrazione di
tutti quegli anni perduti. Ma quei disperati albanesi hanno qualcosa in più:
hanno un motore. Così raggiungono in fretta i nostri eroi, che si rassegnano al
destino, ancora una volta beffardo per i figli di Romagna. Si prendono per mano,
fissano l’orizzonte con la fierezza dipinta nei volti ancor giovani, e mentre
l’osceno battello giunge a speronarli, tirano dentro la pancia e sussurrano il
motivo che rende eterne le loro gesta: “Sento la nostalgia d’un passato…ove la
mamma mia ho lasciato. Non ti potrò scordar casetta mia…in questa notte
stellata la mia serenata la canto per te…”.
Nero.
clicco mi piace....un bel pò aggiungo
RispondiEliminaVeramente bello
RispondiEliminaGrazie, molte molte:-)
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