martedì 27 agosto 2013

Un mercoledì da beoni



Rimini, agosto 1967. Il sole scintilla sulle giovani vite di tre vitelloni romagnoli, dalla pelle color del rame, la chioma fluente e il ventre piatto come una piadina. Jack, John e Mario sono i re della riviera: appena il vento si alza e il mare si increspa i loro pedalò sfrecciano veloci davanti alla spiaggia che freme per i propri eroi. Gli italiani li adorano, le tedesche li divorano, gli albanesi li menano. I tre infatti si addormentano spesso sul pattìno e finiscono a Durazzo, dove il tipo umano romagnolo ancora non convince del tutto, così spesso il meeting finisce a schiaffoni.
Un giorno quelle vite felici e spensierate subiscono un duro trauma: vengono mandati in Vietnam! Il che è una bella sfiga considerando che non si ha mai avuta alcuna notizia di italiani in Vietnam, ma purtroppo la sorte decise di entrare in scivolata sui tre ragazzi e cambiare per sempre il loro destino. Un futuro terribile li attende nei meandri più cupi della jungla asiatica…
Rimini, settembre 2014. Quarant’anni dopo, i nostri eroi ritornano nei luoghi della felicità perduta. Tutto è cambiato attorno a loro e con amarezza si rendono conto che gli italiani non li riconoscono più, gli albanesi chi lo sa, ma le tedesche sicuramente sì: i tre infatti vengono circondati da un nugolo di pensionate di Dusseldorf, che millantano di aver avuto figli da loro e pretendono un po’ di revival, o al limite un assegno di mantenimento. Non era così che sognavano il ritorno a casa, durante quegli anni così duri in cui cantavano Romagna mia mangiando tagliolini e squartando Vietcong.
Ma se Rimini è cambiata, i tre lo sono anche di più. Jack era il più coraggioso di tutti: si gettava col paracadute dalle mongolfiere perforando le nuvole, pescava squali con le mani e traversava l’Oceano Pacifico in pedalò, senza bussola, bendato e con un bengala nel culo. Ora persino la sua ombra gli fa paura, mentre quella degli altri no, così appena c’è un po’ di sole Jack attacca briga pestando pedate per terra e gridando “fatti sotto, coniglia!”, ma nessun’ombra risponde alle provocazioni.
John invece era il più grande playboy di tutto il Mediterraneo. Era talmente desiderato da dover distribuire i numerini del supermercato e girare con un display digitale in fronte. Aveva un fascino così micidiale che quando schioccava le dita a Gabicce volavano mutandine a Ibiza. La sua bocca era leggenda e negli occhi aveva le braci. Jack glielo diceva sempre: “Fatti meno canne che si vede, poi se non ti metti il collirio tua madre ti becca”, ma John tirava dritto per la sua strada, stracciando il “record di devastazione di matrimonio teutonico” appartenente al mitico Rebecchi Alfio, detto Schopenauer, piadinaro di Riccione che nel dopoguerra vendicò la patria sabotando 132 famiglie tedesche, armato solo di lombi e fascino latino.
Ora Jack odia le donne: dopo essersi fatto mezzo sud est asiatico, un quarto del nord ovest australiano, tutto il Suriname, Padova e tre sorelle in Canadà, si ritrova con quattro divorzi e tre mogli da mantenere, perché per fortuna la quarta è morta e bisognerà pur farsene una ragione.
Il terzo eroe, Mario, era celebre per il suo stomaco d’acciaio. Inutile ricordare ora le sue leggendarie imprese, basta dire che una volta mangiò una cozza pescata a Marina di Ravenna. Cruda. Senza limone. E persino senza caffè e ammazza-caffè. Ora Marione non mangia più: ha l’intestino stiptico, l’esofago disfagico, il fegato cirrotico e la moglie di Chicago, una salutista che lo rimbrotta con voce garrula: “Mario don’t eat the anacards, please!!!”.
“Muori puttana”, ringhia lui eroico. Poi getta con rimpianto l’anacardo.
Ora i tre guardano il mare, tracannano una damigiana di sangiovese e pensano ai casi loro. Non è giusto che sia finita così, non c’è rispetto, non c’è gloria per i reduci di una guerra spietata!
“E poi, da quand’è che i cani cagano in spiaggia, perdio!”, grida Jack pulendosi il piede su una sdraio.
Così, strafatti di vino, decidono di vivere un’ultima giornata di gloria, per mostrare al mondo che il tempo passa, le stagioni muoiono, ma le palle dei romagnoli restano! Occorre fare dell’eroismo subito, perché la situazione sta precipitando: Jack ha litigato con l’ombra di un bagnino e le ha prese, Mario ha scoperto d’essere allergico anche alla mozzarella e John è entrato in depressione dopo aver visto la Merkel in tv. Si è convinto che quella sia l’Angela che si fece a Cervia nel 66 e ha paura che il male che lei sta facendo all’Europa derivi dal fatto che non la trombò a sufficienza.
I nostri eroi partono per l’impresa! Rubano tre pedalò, bevono altre quattro damigiane ed escono in mare in un giorno di burrasca. I loro corpi non hanno più il colore del rame, i capelli non fluiscono più al vento e non c’è alcun sole a scintillare sul loro futuro, ma i cuori sono impavidi, le anime sono intrepide e le panze sono flaccide. La voce si sparge rapidamente e sulla spiaggia, a seguire le gesta dei tre gloriosi reduci, c’è tutta la Romagna che conta: ragionieri di Milano Marittima, commercialisti di Riccione, persino un arbitro di pugilato di Forlì. Ed ecco i tre mulinare le gambe con lo stesso vigore dei vent’anni, ecco i pedalò sfrecciare come razzi sulle onde impetuose, ecco i primi applausi salire al cielo. E’ una rivincita sul tempo, sul destino, sulle beffe della storia. I pedalò volano sul mare, sgretolano dubbi, incertezze, banchi di sardine e la nazionale di nuoto sincronizzato che si sta allenando per le Olimpiadi. Anche i cuori più diffidenti esultano: sulla battigia si fa la ola, si balla la macarena, ci si tocca a vicenda con l’innocenza dei tempi andati. E’ un trionfo!
Ma c’è un imprevisto…
Dalla nebbia che oscura l’orizzonte sbuca un barcone di disperati albanesi di Durazzo, che puntava su Brindisi ma ha virato dopo che uno ha iniziato a gridare: “Rimini! Fellini! Cocoricò! Gnocca!”. Ora, se i nostri stanno riuscendo a dimostrare che per qualcuno il tempo non passa, gli albanesi ci riescono ancora meglio e appena sentono aroma di vitellone romagnolo si mettono all’inseguimento dei pedalò. C’è poco da fare, ci sono delle etnie al mondo che proprio non s’azzeccano. E’ come un’orda barbara che si scatena percuotendo gli elementi: il mare frigge, l’aria rugge, la terra piange e i bambini fanno ‘ohh’. I nostri realizzano la mala parata e scappano verso sud, possono farcela perché hanno forza, hanno l’ardore dell’orgoglio ferito, hanno la frustrazione di tutti quegli anni perduti. Ma quei disperati albanesi hanno qualcosa in più: hanno un motore. Così raggiungono in fretta i nostri eroi, che si rassegnano al destino, ancora una volta beffardo per i figli di Romagna. Si prendono per mano, fissano l’orizzonte con la fierezza dipinta nei volti ancor giovani, e mentre l’osceno battello giunge a speronarli, tirano dentro la pancia e sussurrano il motivo che rende eterne le loro gesta: “Sento la nostalgia d’un passato…ove la mamma mia ho lasciato. Non ti potrò scordar casetta mia…in questa notte stellata la mia serenata la canto per te…”.
Nero.

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