Amo
lo sport.
Sono
un instancabile divoratore di idoli mediatici, capace di regalare mesi della
mia vita a un televisore che narri le gesta dei miei eroi.
So
che non è molto di sinistra e che è una grande concessione a un “sistema” che
genera modelli per farci sbavare di invidia e venderci tutto il necessario per
(non) diventare come loro.
Non
me ne frega niente.
Io
sbavo.
Fin
dalla tenera età ho creduto alla assoluta genuinità delle storie di sport. Mi
sono esaltato e commosso per le gesta epiche dei ciclisti stravolti dalla
fatica, per i motociclisti sprezzanti del pericolo, per i calciatori dal
polmone inesauribile e dal tocco sopraffino.
Poi
ho amato il basket.
Fin
dalla prima età della percezione ho intuito che esistevano dei McMillan e dei
Driscoll da ammirare, poi ho visto penetrare Brunamonti, tirare Villalta ed
esistere Bonamico e mi si è aperto un inesauribile mondo mentale, parallelo
alla chiusura della vena della ragione.
Da
quel momento è stato tutto un proliferare di Larry Bird e Magic Johnson, Drazen
Petrovic, Vlade Divac, Arvidas Sabonis e Toni Kukoc, Radja, Volkov, Dalipagic e
Riccardo Morandotti. E mentre le retine bruciavano, Michael Jordan invecchiava
e sul mondo splendeva la rivalità tra Sasha Danilovic e Carlton Myers, tutto intorno
nascevano altre leggende, capaci di smuovere arcaiche passioni e farmi frullare
gli zebedei: Alberto Tomba, Marco Pantani, Valentino Rossi, il Bologna di Ulivieri,
Mazzone e Beppe Signori, Maradona, Van Basten e Leo Messi, i Mondiali, le
Olimpiadi e i Tour de France.
La
vela.
Mi
sono infiammato persino con la vela.
Ho
gridato di gioia dopo vittorie allo sprint nello sci di fondo e bestemmiato di
dolore dopo finali olimpiche perse dalla pallavolo. Quando ho visto crollare i
record dei 200 metri ho persino intuito il concetto di modernità, il cambio
delle ere storiche e quella roba che chiamano zeitgeist.
Sono
malato.
In
lacrime dopo una vittoria di Gelindo Bordin alla maratona di Boston, ho capito
che quella era la diagnosi: malattia da rimbecillimento sportivo cronico acuto.
Però
quando provo a ragionare sul perché di questo mio attaccamento indecente alle
storie di sport, mi ritrovo a pensare che siano quanto di più rassomiglia,
nella nostra epoca tronfia e misera, alle gesta degli antichi eroi.
So
che è banale dirlo, ma nella loro purezza, che pure spesso so esser finta, io
riconosco la mia lontananza da essa e quindi la mia miseria di uomo qualsiasi,
che si tuffa in una bolla di epos e si fa una pera di adrenalina per
sopravvivere e continuare a combattere, giorno dopo giorno.
Il
loro trionfo è il mio fallimento.
Pure,
le sconfitte dei miei eroi sono miserie da dimenticare assieme.
Ora
tutto questo è finito.
L’inesorabile
capacità dello sport di rigenerarsi, creando eroi che prendono a calci gli eroi
precedenti e li soppiantano nei nostri cuori, mi sembra finita.
Ed
è finita con lo scintillante appassimento di sua maestà Manu Ginobili, l’ultimo
eroe capace di prendere il mio cuore e farci quello che vuole.
Per
esempio una grigliata mista.
Se
anche il fenomenale Manu Ginobili lascia il campo e si trasforma in un geometra
qualsiasi, con tanto di pelata e cravatta d’ordinanza, cosa resta di decenni
filati di eroiche battaglie? Dove riporre la mia fede incrollabile nel potere
della volontà, dove trovare nuovi eroi buoni che facciano di tutto per
sconfiggere i cattivi?
Perché
in fondo lo sport non è altro che questo: come il cinema, la letteratura e le
belle storie raccontate al bar, è l’infinita e magica lotta del bene contro il
male.
E
se lo sport è questo, allora non ci sono cazzi.
Lo
sport è una roba di sinistra.
Dev’essere
per questo che perdo sempre.
purtroppo lo sport non è più "l'infinita magia della lotta del bene contro il male". una volta ci si dopava sparandosi in gola un grappino tra un tornante e l'altro. oggi ci si spara in vena qualsiasi cosa e te lo vengono a dire dopo anni da quel momento di esaltazione gloriosa in cui X tagliava il traguardo in mezzo alla neve e Y segnava da centrocampo e con la benda sugli occhi. non ci sono più gli sport di una volta perché la grappa non è più quella di una volta: oggi, evdentemente, la fanno troppo annacquata.
RispondiEliminacertamente il doping ha demolito buona parte della credibilità, ma non è tutto lì. Se oggi non c'è un giovane Valentino, o un Tomba, o la mia vecchia Virtus, il doping non c'entra nulla. E' anche questione di un mondo che gira troppo in fretta, e in cu è sempre più difficile diventare eroi. Oppure dico cazzate e gli eroi ce li hanno gli altri e a noi adesso dice solo sfiga
Eliminail discorso sarebbe lungo e, forse, inutile. pensavo in questi giorni, sentendo della campagna acquisti del calcio, che in fondo i calciatori sono come un telefonino o una lavatrice: ne va di moda uno che 'dura' un paio di anni o tre e il padrone (il proprietario del cartellino) deve spremere più soldi possibile da quel modello perché quando sarà obsoleto non lo potrà rivendere se non in superofferta o sottocosto. i vivai delle squadre diventano forme di investimento. spesso i calciatori non sanno neanche a chi veramente appartengono: un paio di giorni fa in un'intervista uno ha dichiarato che avrebbe giocato volentieri in una squadra e quando gli hanno fatto notare che il suo cartellino apparteneva ad altre due squadre che ne avevano diritto, è rimasto di sasso.
Eliminadice che nel curling ci sono grandi slanci eroici. Mi trasferirò lì
Eliminaconsiglio su eurosport e skysport la notte tarda: tornei di freccette, curling, bocce, biliardo e tutte quelle robe che per mancanza di soldi sono costrette a far vedere gente che gioca per passione ed orgoglio...tanto per rimettere in ottica le cose
RispondiEliminaHo visto le freccette e pure quel biliardo strano, pieno di palle rosse. Non capisco mai come si fa a vincere perchè se conto le palle mi addormento.
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