In una serata
uggiosa e calda, mentre tutta Bologna assapora gli ultimi scampoli d’ estate e
un altro governo se ne va, mi capita di scoprire una cosa assurda e del tutto
impensabile: la gente non ha capito un cazzo della fine di Lost!
Parlando con
amici delle cose più importanti accadute negli ultimi 30 anni –tra cui,
in ordine sparso, la morte di Joe Strummer, la condanna a Berlusconi e le Coppe
Campioni della Virtus- si comincia a rimembrare i tempi eroici in cui ci si asserragliava
in casa, si staccavano i telefoni, si spegnevano i computer, si stappavano gli
alcolici e ci si sifonava 14 puntate consecutive di Lost, saltando i pasti e
facendo pipì nel vaso del ficus benjamin che sta di fianco al divano (scusa
amore).
Poi quei tempi
finirono e per alcuni cominciò l’era villana del “distacco intellettuale”,
quando ai party era di moda parlarne con tono amareggiato da grande critico,
guardando l’orizzonte con sapienza e minimizzando la valenza cultural-spettacolare
della serie, come se fosse addirittura esistito qualcosa di più bello al mondo.
Sciocchezze.
Ora, lo shock.
Svariati
tossicodipendenti non pentiti e mai critici come me mi dicono, con birra in
mano ed occhio che punta pericolosamente l’orizzonte, che l’isola era il
Purgatorio.
Io tento un
approccio conciliante: “Cioè, nel senso che ritieni che l’avventura loro occorsa avesse una valenza purificatrice… una redenzione per poter proseguire a vivere...ma metaforica...essendo
loro vivi…”
“No no, nel
senso che sono morti”
“Pardon?”
“Sveglia capra!
Sono tutti morti nella caduta dell’aereo e l’isola è il Purgatorio da cui si
ritroveranno alla fine, in chiesa, per andare tutti in Paradiso”
“…”
“Coglione”
“Ottimo. Oh,
guarda com’è tardi!! Ci si vede eh…Ciao”
Poi, camminando
nell’uggia dell’estate che decade, mi ricostruisco in testa la mia fine di Lost,
che in fondo è ricostruirsi in testa tutto
Lost, con la modestia di chi ritiene che quella e solo quella è l’unica
spiegazione possibile e tutti gli altri non capiscono un cazzo.
Primo concetto.
L’isola è vera, esiste nel mondo fisico e nessuno è morto.
I sopravvissuti
all’incidente aereo sono ciò che sembrano: sopravvissuti a un incidente aereo.
Questo secondo
me si capisce dall’analisi spicciola dei tempi della narrazione.
Ovvero.
Per 5 serie
tutto si svolge in maniera abbastanza semplice da decodificare, esistono cioè
tre piani temporali che si intersecano: il “tempo dell’isola”, che è sempre il
presente della narrazione, sia esso il tempo della caduta dell’aereo, il futuro
del loro ritorno dopo esser riusciti ad andarsene o i vari passati in cui finiscono
dentro; poi ci sono i flashback “in continente”, cioè le loro vite nel mondo prima
dell’incidente, e i flashforward “in continente”, cioè le loro vite nel mondo
dopo il ritorno dall’isola (per capirci, il tempo poco esplorato di quando Jack
e Lentiggini stanno insieme).
Questi in
sostanza sono i “tre tempi” delle prime cinque serie di Lost.
Chiaro? Boh,
speriamo.
Poi arriva la
sesta serie.
Ecco, per prima
cosa buttiamo via le prime 10 puntate che fanno schifo al cazzo. Facciamo finta
di non aver mai visto quel coreano-giappo-cino-vietnamita che si atteggia a Pai
Mei e quell’altro fricchettone che vorrebbe essere Dennis Hopper in Apocalypse
Now. Dopo averlo fatto scopriamo che qui c’è un altro piano temporale
misterioso, un “flashx”, in cui Desmond risveglia tutti quanti e li porta in
chiesa, dove belli sereni andranno in Paradiso.
Non sappiamo quand’è, ma sembra un
futuro, perché tutti hanno dimenticato, e dimentichi solo ciò che sai e quindi
che hai già vissuto.
Bene, perché da
questo quarto piano temporale x dovrebbe conseguire che l’isola è il
Purgatorio?
Perché
dovrebbero essere tutti già morti sull’isola, se noi vediamo tutti quanti “morire
sull’isola”?
E morire in
tempi diversi… Charlie muore subito, Jack alla fine del “tempo del ritorno”,
Ugo invece muore sessant’anni dopo.
Perché dovrebbero
essere già morti, finire su un’isola Purgatorio dove morire di nuovo?
Non è più ovvio e
logico pensarla come segue?
L’isola è nel
mondo reale, è il tappo che protegge il mondo dal male (che per chi non l’ha
mai visto sembra un po’ un ossimoro, ma d’altronde nella vita non si può
parlare con tutti, figuriamoci con chi non ha mai visto Lost). Tutti sono
sopravvissuti all’incidente aereo e vivono la loro vita lì, reale, concreta,
tangibile, poi tornano nel mondo, poi tornano lì, vanno avanti e indietro nel
tempo ma sono sempre vivi. Il che è dimostrato da un fatto incontrovertibile:
muoiono.
Come diceva
Marcello Marchesi: “L’importante è che la morte ci trovi vivi”
Poi, una volta
morti sull’isola, cioè nel mondo reale, le loro anime finiscono nel Purgatorio,
il limbo del flashx in cui Desmond li risveglia per portarli in Paradiso. E’ un
limbo atemporale, o del futuro, un luogo delle anime in cui ci sono sia quelli
morti subito che quelli morti 60 anni dopo, come Ugo.
Oltre all’analisi
dei tempi, che come visto esclude l’ipotesi isola-Purgatorio, c’è poi una
blanda analisi tematica di base: che c’entra il Purgatorio con il “tappo del
male” che sappiamo essere l’isola?
Sono proprio due
cose che non c’entrano nulla, due campi semantici diversi, due aree distinte
della narrazione, non sovrapponibili. Insomma, non c’azzeccano niente.
Questo è il mio
Lost.
Che poi vale
come il Lost di altri che l'hanno visto in tutt'altra maniera, e se ne hanno voglia spero me lo racconteranno.
Ma si sa che il
bello di ste storie, dai contorni un po’ sfumati e dai tempi che se ne vanno, è
anche il poter guardare l’orizzonte e dire:
“Io ho capito
Lost, e tu non hai capito un cazzo”