giovedì 26 settembre 2013

Considerazioni sporadiche e inattuali di uno che camminava per Bologna senza pensare ai cazzi suoi



Se cammini per quella città che solo gli sprovveduti potrebbero non chiamare Bologna, può capitare che noti alcuni piccoli dettagli sulle persone e sulla convivenza civile di cui non importa assolutamente a nessuno.
Con ragione, tra l’altro.
E’ però importante, a mio avviso, fermarsi ogni tanto e ragionare su quello che solo gli incauti potrebbero non chiamare “felsinean way of life”, e che sicuramente è chiamato in cotal guisa da una categoria di persone alla quale mi pregio di appartenere.
I pirla.
Se camminando per esempio in via Andrea Costa oltrepassi il viale ed entri in via del Pratello, oltre che rimpiangere il profumo dei tigli che sa celare con voluttà l’olezzo lercioso delle auto, bestemmierai per il dolore ai piedi che provoca quel lastricato che solo gli assessori potrebbero non chiamare sassi di merda.
Che era almeno dall’ultima volta che passavo per Piazza Santo Stefano che non provavo un dolore così.
Ma stoico proseguo con orgoglioso petto e il cipiglio dei forti.
Pesto una merda.
E non voglio con questo suggerire che in Pratello vi siano più deiezioni canine che altrove, anzi. Volevo solo scrivere che proseguo con orgoglioso petto, il cipiglio dei forti e le palle che mi girano.
Sbuco sul passaggio pedonale all’incrocio tra via Marconi e via Ugo Bassi, che per me resta il posto con più gnocca di tutta Bologna.
Ho visto autobus saltare tre verdi consecutivi per guardare il paesaggio e umarell in bici lamentarsi perché se l’autobus non parte loro non vedono bene le gnocche.
Dopo aver attraversato otto volte avanti e indietro le strisce, entro in via Ugo Bassi.
Qui si possono fare alcune considerazioni sociologiche: le camicie col collo alto e le scarpe con la punta lunga mi sembrano in calo.
Bene.
I vestiti da barbone sono invece in crescita.
Un osservatore sgamato potrebbe suggerire che il trend è legato al fatto che ci sono più barboni, mentre un osservatore politicizzato noterebbe che quasi tutti i barboni sono stranieri e questo è un chiaro indice del fatto che gli italiani hanno una gran puzza sotto il naso perché si rifiutano di fare i lavori più umili.
Tipo il barbone.
Mi sembrano in numero e in quoziente di aggressività stabili quelli che ti vogliono far firmare per la riforma della giustizia, contro la fame nel mondo, contro le droghe e per le chiese metodistiche universali.
Io su queste posizioni ho le idee molto chiare: riformiamo la fame nel mondo partendo dai missionari cristiani che mandiamo in Africa a zappare mentre le droghe ce le teniamo noi.
Punto.
Su via Ugo Bassi mi paiono un pochino in crescita quelli che ti mollano i volantini, i cosi…com’è che si chiamano…gli…ah sì…
Gli scassacazzo.
Che vorrei sapere se il ritorno commerciale di ognuno di quei volantini ripaga il costo della carta usata per stamparlo e il frullamento delle mie palle ogni volta che me ne sbatti uno sotto il naso, oh scassacazzo che non sei altro.
Giunto in piazza mi si palesa davanti agli occhi una cosa molto bella: la piazza.
Che di sera ha quella tonalità tipicamente medievale che solo le luci elettriche gialle sanno darti.
Io entro in Sala Borsa, la quale è quel luogo centenario nel quale si svolge il lavoro più bazza che Bologna abbia mai riscontrato nella sua storia millenaria: la “guardia giurata che intorta le sbarbe all’ingresso di Sala Borsa”.
Un mestiere delizioso con un solo, enorme rischio: che il tuo collega sia un gran rompiballe.
E viceversa.
Dopo aver ammirato i pavimenti a vetro, i delicati camminamenti, i ricchi colonnati e un po’ di gnocca, rammento che è veramente da sciocchi stare in Sala Borsa se non si ha nulla da fare in Sala Borsa. Così me ne vado.
Attraverso la piazza ricordando i bei tempi andati in cui si dava il becchime ai piccioni senza paura che ti trasmettessero l’epatite con uno sguardo, ammiro la facciata di San Petronio, che bisogna riconoscere che ci sono dei fotografi davvero molto bravi in giro, e mi infilo nel Quadrilatero.
E’ stretto.
Molto stretto.
Talmente stretto che quando il pesce è molto fresco ti puoi ritrovare un’orata che ti salta in grembo, un polipo che ti guizza in tasca e un gamberone che ti zompa in…
Poi ci sono anche tante belle bancarelle con la frutta e la verdura.
Quando sono nel Quadrilatero vengo colto da un dubbio morale: vado a comprare un libro che non leggerò mai all’Ambasciatori o da Feltrinelli?
Compro tanti libri io.
Molti di più di quelli che riesco a leggere, perché ho gli occhi più grandi degli occhi.
Ma da quando mi faccio prendere dai dubbi morali ho un po’ smesso, perché cammino tutto tormentato, penso, ripenso e penso ancora finché sono in Piazza Santo Stefano e allora non penso più ai libri.
Penso solo a bestemmiare per via di quei sassi di merda.
Quando sei in Piazza Santo Stefano, dopo che hai fatto le solite tre cose -che nell’ordine sono: dirsi “oh quanto è bella!”, spiegare a qualcuno che lì di fianco ci abita Prodi, guardare la gnocca- te ne vai da Piazza Santo Stefano.
A quel punto puoi andare dritto, e se hai buone gambe e molta pazienza arrivi al mare, oppure torni indietro, e passando per Piazza della Mercanzia ti chiedi se rappresentino meglio Bologna i bimbi-minkia che stanno lì tutto il giorno a non fare un cazzo oppure i fighetti che stanno lì tutto il giorno a sollevare le patatine.
E allora mi infilo nel ghetto, cercando di non guardare Feltrinelli per non farmi riassalire dai dubbi di cui sopra.
Qua mi perdo.
Intrichi e vicoli e calli e stradine e viottoli e…
Pesto un’altra merda.
E non voglio con questo suggerire che nel ghetto vi siano almeno le stesse deiezioni canine che in Pratello. No, stavolta la pesto apposta, anzi non c’era e ce l’ho messa io apposta per pestarla, perché non sapevo più come uscire da questa minchiata che sto scrivendo.
Così mi fermo in qualche bar, probabilmente da Sam che non si chiama più da Sam, bevo 18 birre, sollevo le patatine, guardo la gente passare, mi pulisco le scarpe luride e penso che magari un’altra volta, girando qua e là senza aver nulla da fare, considererò l’eventualità remota e mai banale di farmi in toto i cazzi miei.
Oppure guardo meglio dove metto i piedi.
E mi infilo da Feltrinelli.

Nessun commento:

Posta un commento