giovedì 16 maggio 2013

American friends



“Ehi John, allora ti piace Bologna?”
“I tell to you!”
“Xa dit?”
“T’al dèg!”
Niente, c’ho sto amico americano che è qua da due mesi per imparare l’italiano, ma non è che gli sta venendo proprio benissimo.
Lui è giovane e molto sghengio e va in giro battendo cinque a tutti e gridando “Beauty there!” che sarebbe poi “Bella lì!”. Ma da qualche giorno s’è bolognesizzato ancora di più e così butta lì dei gran “Beauty old” (bella vecchio) e dei bei “Beauty guyz” (bella regaz).
Dice che parla Bonglish.

Io cerco di instradarlo a un approccio idiomatico più cruschiano, ma non c’è niente da fare, s’è talmente appassionato che mi guarda in tralice e sibila “oè…braisa strazz the browns!”
Che non sto a tradurre, è intuitivo.
L’altra sera mi invita a cena nel suo foot-to-hearth, si scusa perché il riscaldamento è rotto e c’è del “great jazz”, mi sgancia due teglie di lasagne di Little Tamburs e si premura: “Oh…I arcmand myself…eat! Braisa do the scimitons”
Ma figurati se mi metto a fare gli scimitons, caro John. Così lo tranquillizzo e gli pacco una spalla: “Soccia vecchio, ti chiami John ma sei proprio un gran big Alex!”
Che l’ha capita un po’ dopo anche lui.
Dopo cena usciamo per bere qualcosa, perché John è un tipo molto vitale e vuol sempre andare di qua e andare di là e going up e going down.
Simpaticissimo.
Like a cat attach to the browns.
Ma un temporale improvviso ci coglie in the middle of the road. E’ uno squasso d’acqua pazzesco, “a crazy shook of water”, traduce John rapidissimo, oserei dire at the fly. Poi si mette a singin’ in the rain e a gridare di felicità: “Oh shit, such a great fuckin’ batedo!!”
Lo prendo di peso e lo tiro sotto un portico, che li hanno inventati apposta per evitare i batedi, mica per farci fare le minzioni ai cani.
Sto John non è solo di Los Angeles, è anche un po’ rincoglionito.
“Tiro?”, sghignazza lui, che evidentemente mi legge quando parlo. “The shot! Bzz bzz bzz…Gimme the shot! Open the door! ”.
Mi sento un pochino perculato nella mia essenza bolognese, così lo liquido: “Go well to do the popò. Stronz”.
Faccio anche in fretta a liquidarlo perchè è già spolto di suo.
Spolto nel senso di bagnato spolto, cioè in the sense of wet spolt.
Boh...what do you want me to tell to you -xa vut cat dégga - me a ni capés piò un caz.
Raggiungiamo walking (camminando), singing (cantando) but stenting (a stento) un locale di Avenue Saint Happy, che a piedi è lunga perché John abita in Emily Growin’ Up Road number 480. 
Cl'è un pèz in là. 
A piece in there.
John è entusiasta per via della gran ballott, anche se subito inizia a lamentarsi perché c’è soprattutto “of the great pant”.
Della gran braga.
Non lo sopporto più sto tipo. Quasi quasi lo mando a fare uno shook of hand jobs. Che non traduco perché sono educato.
Mentre siam lì che beviam dei freecuba e lui intima i venditori di accendini di don’t plant him the pieces, la musica si ferma e da fuori si sente un grido metallico:
“Women…it is arrived the knife grinder!”
Pausa.
“And the umbrella man!”, aggiunge la voce.
“Oh god my mother!”, penso io, che ormai preda di sto bonglish non riesco a formulare neanche un “diomemama”.
Alle due di notte, dopo il quinto freecuba siam decisamente sbronzi.
“Suck me what a box”, ammette John.
“I break myself the cock”, azzardo io.
Poi il dj, che dev’essere un burlone, mette su Mingardi e John attacca a cantare: “I’m un unlucky man, cow if I’m un unlucky man! Of a bad luck…that if my cock fall down to the hearth…”.
E tutti in coro: “Am rimbelza in t’al cul!!!”
Such an incredible fuckin’ ballot de sbronzi imbriagoni che non si vede un po’ di gnocca manco crying.
Alle cinque il barman mi presenta un conto di 80 eurini, che io tutti insieme li vedo solo dentro le bisacce dei benzinai, così siccome sono amico faccio segnare nel black book, il foglietto dei conti che ha sempre ragione e per quello è anche detto singin’ paper.
Poi trascino John per Independence Road. Camicia aperta a mostrare l’orgoglioso petto, bava alla bocca, ciucca planetaria in atto. Lo mollo un attimo per comprare le paglie e subito me lo ritrovo spiaccicato su una fila di campanelli, li suona tutti a manciate e farfuglia: “It comes two ettis and the middle of the prosciutt…what do I do? Leave?”
“Suck me two browns John”, lo sgrido e lo tiro via mentre urla a squarciagola: “Get down the rusc! Gimme the shot! Go to do the pugnett!!”. Poi sviene.
It was hour.
Mentre me lo carico in spalla e mi incammino verso via Emilia Growin Up, penso che nella vita le amicizie son tutta questione di fortuna.
“In the life, ass hole help me”, direbbe John.
“In tla vètta, bùs dal cùl aiùtum”, puntualizzo io.

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