Bologna a luglio è un incubo di cemento
e noia.
Sonnecchia nell’attesa della grande
fuga che la svuoterà di anime e sguardi, troppo stanca per trasmettere incanto,
troppo calda per regalare sorrisi.
E’ gentile solo alle 4 del mattino,
quando ritrova un dignitoso silenzio e refoli di pace scendono dai colli a
placare pensieri infausti.
Noi ci nuotiamo dentro respirando di
rado, con movimenti lenti e accorti, per timore di finire sopraffatti se
azzardassimo rivolte inaudite, e per rispetto, anche, di tali amare
consuetudini.
Ma stasera è diverso.
E’ in città già da alcuni giorni, e la
sua presenza non è per nulla discreta. Lo vedo ovunque, mi guarda dai muri, dalle
pagine dei giornali, dalla distesa infinita di colonne che disegna il dedalo
dei portici.
Charlie è in città e il ricordo di lui
mi si riaffaccia alla mente, con la lentezza di questi giorni di luglio. Riscopro
il suo sguardo triste per il tempo che fugge, che si stravolge in contorsioni
impreviste, che finisce…forse. Quella venatura amara di piccolo uomo non
integrato.
Di uomo libero.
Ma stasera no, stasera Charlie non sarà
triste, spazzerà via la noia aberrante di questa città con le sue movenze
ingenue, e tutti i pensieri infausti si adageranno in un sorriso.
Stasera Charlie cercherà l’oro.
Esco di casa deciso a raggiungere la
piazza per tempo, inforco la bicicletta con piglio giovanile e mi lancio
sull’highway che porta verso il centro. Raggiungo la massima velocità. Su un muro
una foto gigante di Charlie mi sorride: sa che sto andando da lui.
Io lo guardo fieramente, alzo un
braccio per salutare e ricambio il sorriso di stima. Faccio anche un cenno
affermativo col capo, così…per simulare complicità.
La distrazione è fatale: finisco stampato
contro il lunotto posteriore di una Mercedes parcheggiata in doppia fila, con
tanto di sorriso di plastica ancora spiaccicato sul mio viso contro il vetro.
Dentro, un bambino inizia a piangere, e
non capisco perché visto che quello con la faccia frantumata sono io. Esce il
padre, un energumeno alto un metro e novanta che non sembra intenzionato a
verificare il mio stato di salute, anzi…pare intenzionato a peggiorarlo.
Mi vuole menare.
Mi rialzo, dissimulo il dolore che mi attanaglia
e tenendo con una mano il naso attaccato alla faccia azzardo un “fcufa…”.
Il tizio è comprensivo, si limita a uno
scapaccione che mi rimanda dritto contro il lunotto, il bimbo mi guarda e si
rimette a piangere, cerco di tranquillizzarlo “è tutto a pofto piccolo…”, ma quello si mette a urlare ancora di più. Poi per
fortuna il Mercedes riparte, io scivolo dal bagagliaio come un cartone animato
e mi ritrovo appiattito al suolo.
Dal muro Charlie sembra sorridere un
poco di più.
Mi alzo, guardo la bici: completamente
inutilizzabile. Con gesto di stizza la lancio verso un bidone dei rifiuti che
mi sta a fianco.
Sbadatamente non noto che nelle
vicinanze vi è una vecchietta intenta a espletare le deiezioni all’adorato cane
Sissy. La colpisco, ma appena appena, soltanto una lieve sfregatina di
striscio, insomma non mi pareva il caso di prendersela tanto e scatenarmi
dietro la bestiola.
Che tra l’altro è uno splendido
esemplare di Rottweiler, dal portamento elegante e fiero ma spiacevole da avere
alle costole in un tentativo di fuga.
Corro a perdifiato toccando una
velocità di punta degna di una gazzella della savana, ma Sissy, maledetto il
giorno della copula che t’ha generata, raggiunge quella di un ghepardo.
Mi rifugio in un negozio di kebab.
Sissy si pianta davanti alla porta ringhiando con furia trattenuta ma, ahimè,
pronta ad esplodere. Io ansimo sull’orlo del collasso, guardo il tizio del
kebab e gli dico “due kebab”, poi guardo Sissy…mi rigiro verso il bancone “fai
tre, meglio”. Da una locandina Charlie mi scruta, sorride sempre più…
Cinque minuti dopo sono seduto sotto il
portico, Sissy ha già sbranato i suoi due kebab e guarda malizioso il mio. Dice
“grrr”. Glielo cedo con un sospiro e azzardo una carezza sul capo.
La maledetta ringhia ancora.
All’orizzonte si profila la sagoma
della vecchietta, che corre con baldanza antica e grida che Sissy certe cose
non deve mangiarle. Agita il bastone da passeggio, si direbbe voglia menarmi
pure lei.
Mi do alla macchia.
Riparto di slancio verso Piazza
Maggiore, sono in ritardo tremendo, Charlie sarà già a passeggio sulle nevi
dell’Alaska a cercare l’oro!
Prendo al volo un autobus, mi siedo e
mi tocco il naso ancora dolorante, non sembra rotto anche se alcune gocce di
sangue sono scese e si sono…
“Biglietto prego…”
Mi giro con mestizia...è proprio un
controllore, con tanto di divisa ufficiale e sguardo sadico di chi ha trovato
il pollo da spennare. Ricorda Giacomone quando ha le allucinazioni dalla fame e
scambia Charlie per un pennuto.
Improvviso: “Guardi, ho avuto un piccolo
inconveniente e sono dovuto salire in tutta fretta…”.
“Documenti”, fa lui, impeccabile nella
sua dignità di esemplare in via d’estinzione.
“Le assicuro che sono qui per
caso, io disprezzo i mezzi pubblici…”
Mi fissa severo: “Sono 125 euro…intende
conciliare direttamente qui, sul posto?”.
Tento un raggiro, gli punto l’indice e
lo guardo severo: “Lei non sa chi sono io!”.
Lui fa: “Per ora no, ma se me lo dice
lo scrivo sulla contravvenzione”.
Sagace.
“Senta,
sto andando a vedere Charlie e sono in ritardo, sono disposto a fiondarmi giù
dal finestrino, senza aspettare la fermata”.
Mi si siede al fianco, mi cinge le
spalle con un braccio e ammorbidisce il tono, quasi lo colora di tinte pastello
e petali di rosa.
“Fa caldo vero? E’ una maledetta
città…ed è così difficile essere controllori in questi tempi senza dio…ma una
volta non era così sai, una volta era diverso. Lascia che ti racconti…”.
La sua voce ora è melodia, mi culla e
mi cattura, mi penetra l’anima con la dolcezza di un notturno di Chopin.
Guardo una foto di Charlie appesa
sull’autobus, pare annuire comprensivo, e allora mi abbandono all’estasi, mi
accoccolo sulla sua spalla protettiva di tutore dell’ordine e cedo.
Inizio a ronfare della grossa.
Mezz’ora dopo siamo al capolinea. Mi
sveglio mentre Giorgio racconta le romantiche multe dei primi anni ’60, quando
il tempo non era un vortice senza freni che incupisce lo sguardo e svilisce le
parole.
Mi stiracchio e alzo lo sguardo un po’
scocciato, cerco di svicolare, forse faccio in tempo a catapultarmi in piazza e
vedere la danza dei panini. “Beh Giorgio, devo proprio andare, su con la vita
eh…”.
Mi blocca sul primo gradino, mi giro,
mi guarda con un sorriso amaro e mi mette in mano la contravvenzione: “Per poco
non ci scordavamo…”.
Gli rivolgo un sincero sorriso di
plastica, butto lì un “meno male” e fuggo con la multa nel taschino.
Corro sotto i portici afosi fra foto di
Charlie appese ovunque, mi torna alla mente la scena in cui lui e Giacomone
mangiano uno scarpone e sorrido delle imberbi mie piccole disgrazie.
Arrivo vicino a Piazza Maggiore, sento
musica e le risate di migliaia di persone: deve essere la scena della capanna
in bilico sul precipizio, quando riescono a salvarsi all’ultimo istante e a ritrovare
l’oro che li renderà ricchi.
Accelero, ho il cuore che si spezza per
la corsa e per la pena.
Mi affaccio infine sulla piazza:
ingentilita da un refolo precoce in discesa dai colli è un’unica distesa di
anime, tutte col naso all’insù e il sorriso dei giusti. Un uragano di applausi
si alza e sembra quasi sottolineare per scherno il mio arrivo.
Mi fermo ansimante, so che non ce l’ho
fatta, penso che tornerò a casa, a riflettere su quanto Bologna non sia soltanto
un incubo di cemento e noia.
Prenderò da uno scaffale la
videocassetta de “La febbre dell’oro” e cercherò ancora il tuo sorriso amaro,
vecchio adorato Charlie Chaplin.
Mentre la folla inizia a sciamare
guardo il maxi-schermo. Lui non c’è più. C’è solo una scritta.
THE END
Io incontrai Charlie negli anni '70, verso la metà, diciamo. Precoce? No, lui era già morto da una ventina d'anni! Precoce io? e meno male! incontrarlo a quell'età vuol dire inchiavardarlo nell'anima e farlo diventare "la mia giovinezza", quella che sei sempre pronto a raccontare come l'epoca d'oro della vita. E lui, Charlie, è uno dei pilastri; lui e Nigth in Tunisia, lui e Moose the Mooche, lui e... Ora "Bird" vola alto e io non ho trovato ancora le mie ali. Ma mi sto impegnando, Charlie, mi sto impegnando.
RispondiEliminaCharlie e buoi dei paesi tuoi
Elimina