martedì 7 maggio 2013

Favola rock di uno struzzo e di John Wayne



Era il 23 dicembre, camminavo scontroso e acido lungo via Rizzoli, le due torri in faccia a me e tanta gente in giro.
La solita storia di sempre, era ormai Natale e io non ne volevo un cazzo, giravo da due ore in caccia di regali e avevo rimediato la bellezza di un giornale porno per quel maiale di mio cugino.
A lui piacciono, giuro.
Un vento gelido mi bloccava le idee che già non avevo e, insomma, la questione si stava facendo un po' tragica.
Poi successe una cosa strana, passando di fianco a un'agenzia di viaggi gli occhi mi si fissarono su un poster gigante del Gran Canyon, quello che sta laggiù negli States.
Prospettive magiche ritagliate nella roccia e un cielo blu come i miei sogni.
Ero completamente ipnotizzato, con la mente lontana da questo freddo gelido e da questo grigio cemento, volavo fra le nuvole e scendevo in picchiata nella natura più selvaggia, libero e leggero come un falco.
Poi fui là.

Non mi è molto chiaro quello che successe, non so se c'entri Babbo Natale o il Mago Merlino o addirittura il Grande Puffo, però so che questa è una favola e bisogna prenderla come viene.
Semplicemente fui là, chiusi gli occhi nel gelo bolognese e li riaprii in mezzo al sole più cocente, di fronte a un'infinita parete di roccia sgretolata e sotto un cielo blu.
Blu come i miei sogni.
Non sapevo precisamente cosa fare, ero anche un po' stranito e mi stava salendo un caldo infame, ringraziai sentitamente l'agenzia di viaggi e buttai via giacca di pelle e maglione di lana.
In jeans, maglietta e anfibi mi sentivo già più idoneo, come un Bruce Springsteen d'annata alla ricerca della Strada del Tuono, lungo le infinite visuali del sogno americano.
Al solo pensarlo l'aria si riempì di un conosciuto e amato suono d'armonica e Thunder Road partì, riempiendo di sé le vallate del Canyon.
"Sono in acido" pensai, "sono in acido ed è un gran viaggio".
Iniziai a camminare, cantando felice e ignorando direzione e obiettivi; in giro, ovvio, non c'era nessuno.
Bruce lasciò il posto ai rotolanti riff dei Creedence, vibrazioni di Stratocaster da sgretolare i cactus e rock americano su queste vallate da vecchi apaches.
Ballavo e cantavo e dopo anni, finalmente, non pensavo.
Poi vidi una grotta, un opaco e fresco squarcio nella roccia, e mi avvicinai.
Ero immerso nel viaggio western e vi entrai come John Wayne entra nei saloon, spalle gobbe da uomo di fatica e passo trascinato, mano sulla tesa del cappello che non avevo e due metri di statura psicologica.
Un gran duro.
I Creedence sparirono ma non vi fu silenzio, da dentro giungeva una voce triste e melanconica, una roca voce vissuta che cantava amara, mentre una chitarra la accompagnava lungo le melodie del blues.
Mi fermai ad ascoltare e quasi mi misi a piangere, le parole le conoscevo ed erano pure in italiano.
"Io sono un poco di buono…lasciami in pace perché…sono un ragazzo di strada…e tu ti prendi gioco di me…"
Ma triste…
C'era una luce tenue e mi avvicinai, un piccolo falò proiettava ombre sulle pareti e una figura scura gli era seduta davanti, volgendomi le spalle.
Continuava, tristissimo, a cantare, senza curarsi della mia presenza.
"Io sono un poco di buono…"
Era una figura molto strana… direi, senza offesa, pelosa… anzi molto pelosa, due ciuffi gli spuntavano dalle guance e due orecchie lunghe e basse scendevano fino alle spalle strette.
Il tutto con del gran pelo.
Iniziai a sospettare e feci altri tre passi.
Ormai gli ero alle costole, lo vedevo a due metri da me, seduto di fronte al fuoco mentre strimpellava la chitarra e contemplava una fotografia distesa davanti a sè.
Non avevo più dubbi, so che suona strano…incredibile…impossibile…ma so anche che questa è una favola, quindi fidatevi…era lui.
"Willy…"
Si girò piano.
"Ciao John."
(John????)
"Willy, che hai fatto? Mamma mia che faccia sbattuta…che c'è?"
"Siediti John, siediti insieme a me, c'è tanto blues ancora da fare."
Mi sedetti di fianco a lui, fissai gli occhi nel fuoco e presi il whiskey che mi passava.
"C'è che mi sono rotto i coglioni, John, ecco cosa c'è."
"Dai Willy, ma come parli…ci sono i bambini che magari ci guardano e…"
"No John, no…non ci sono più i bambini…ho smesso…non ci corro più dietro a quello struzzo di merda."
Vidi la foto, era Beep Beep in primo piano con un sorriso supponente e sprezzante.
Capii il senso della canzone…
"Vent'anni che gli corro dietro e mai che riesco a prenderlo, mi sono spiaccicato contro ogni centimetro di questo fottuto canyon e…fa male sai, non alle ossa, no…quelle sono di carta, fa male al cuore, John , anch' io ho una dignità e stà urlando di dolore."
Ma che tristezza…
Decisi di aiutarlo, era un buon coyote dopotutto e aveva sempre lavorato con impegno e passione, non meritava il destino ingrato che gli imponeva di far ridere.
E poi sono o non sono John Wayne, difensore dei deboli e paladino degli oppressi?!
(John Wayne?????)
"Dammi il whiskey Willy! Adesso studiamo un piano e domattina gli spappoliamo la faccia, a quello struzzo fottuto."
Molto western.
Anche un po' punk, mi sembra.
Dopo due ore e tanto whiskey, dopo lacrime e tanto blues il piano era pronto, al mattino lo struzzo avrebbe avuto il fatto suo.
La teoria che governava il piano era semplice: esso avrebbe funzionato perché c'ero io, John Wayne, a cui tutto quaglia sempre per il verso giusto, l'eroe così califfo da far riuscire qualcosa persino a  Willy, che non ne becca mai una.
Eppoi è pur sempre una favola.
Prima di coricarmi ebbi un'idea geniale per tirargli su il morale e forse qualcos'altro, nella tasca dietro dei jeans avevo ancora il regalo per il mio cuginetto, lo presi e glielo tirai.
"Tieni Willy, questa è roba del nostro mondo, vedi un po' se ti piace…"
Quando chiusi gli occhi stava ancora leggendo.
Non cantava più però…
Al mattino ci svegliammo parecchio stonati, Willy preparò fagioli stufati per colazione e sentii nostalgia del vecchio cappuccino, magari con un bel bombolone alla crema con sopra un casino di zucchero a velo oppure con dei cannoli o addirittura, diomio, con dei croissant caldi con burro e marmellata di ciliegie…
"John, oh JOHN, SVEGLIA!!!!"
"Eccheccazzo urli Willy, stavo sognando il mio dolce mondo, e poi basta con questa farsa, non mi va di prenderti per il culo, io non sono John Wayne, chiaro?!"
Silenzio…
Willy prese un pezzo di specchio e me lo passò.
John Wayne.
Molto semplicemente.
Ma quello giovane, chiariamo, quello di Ombre Rosse per capirci.
"E adesso, John… piantala di fare il bambino e mettiti il costume, lo struzzo ci aspetta…hoka hey!"
See…manitu, squaw e tomahawak.
Il piano era lineare e pulito: io mi vestivo da struzza e appena Beep Beep mi si piantava davanti con fare perverso Willy gli spappolava la faccia con un fucile a pompa da caccia grossa antistruzzo.
Avevo molta fifa.
Presi la roba da un armadio in cui c'era tutto e mi vestii. Ero anche carina, magari un po' grossetta per la specie però col trucco giusto…
Già col rossetto, le ciglia lunghe, il mascara e la cipria ero più presentabile, con collant autoreggenti e borsetta  rosso fiamma sembravo proprio una struzza da strada, almeno da venti dollari.
Andai a sistemarmi all'incrocio fra due vallate, sotto un cactus alto come un lampione, Willy mi stava di fronte, sdraiato su un costone di roccia col fucile spianato e vedi di prenderci, coyote della malora, vedi di prenderci.
Dopo un'ora sotto il sole cocente e neanche un cliente vidi una nuvoletta di polvere comparire all'orizzonte e spostarsi rapida verso di me, si avvicinava e urlava "beep beep".
Mi feci provocante: petto in fuori e aria lupa, il caldo mi aveva fornito quella fragranza ascellare che tanto ingrifa gli struzzi.
La nuvola si piantò davanti a me col tipico suono vibrato, "sdeeeng", iniziò a diradarsi e comparve lui, sopracciglio alzato e sguardo languido, mi prese la zampa destra ed eseguì un baciazampa.
Finsi un mancamento estatico.
"Beep beep" disse.
"Beep beep" risposi.
Sai mai cosa dirgli a uno struzzo allupato e anche un po' maiale.
Mi squadrò tutta e mi imbarazzai alquanto.
"Questo ci sa fare…" pensai.
Poi esplose.
Si sentì un busso tonante e la sua faccia di sesso e piume schizzò in mille direzioni, il corpo rimase eretto e galante ma attaccato al collo non c'era più niente.
Willy cacciò un urlo profondo vent'anni e iniziò a correre come una scheggia per tutto il canyon.
Divenne una nuvoletta.
Quando si calmò raccogliemmo l'ex struzzo e organizzammo un arrostino.
Con un Barolo dell' 89 dell' armadio di Willy era davvero una delizia.
Ci si sentiva felici e leggeri…fumammo sigari cubani sotto un cielo blu come i nostri sogni.
"Che farai ora Willy? Vieni con me nel mio mondo?"
"No John, non me la sento, e poi devo aiutare un amico che soffre."
"Un amico, qui nel deserto?"
"Oh no, dovrò viaggiare un po' ma non è problema, anch' io vado veloce sai…comunque andrò da lui, ha problemi simili ai miei…"
"Tom?"
"Gatto Silvestro."
"Capisco..."
Quella sera il Canyon suonò rotolante rock'n'roll, ballammo e bevemmo e ridemmo, Willy cadde tre volte dalla rupe e si spiaccicò felice dopo voli di cento metri.
L' alcol che saliva mi portava nostalgia di casa, guardai Willy per l' ultima volta, chiusi gli occhi e sognai via Rizzoli.
"Sei un buon coyote…" dissi sfumando.
Mi ritrovai davanti all' agenzia di viaggi, nella grigia Bologna di cemento.
Ero ancora in jeans, maglietta e anfibi, come un Bruce Springsteen d' annata che sente un freddo bestia.
Fissai d' istinto un poster gigante del Messico… deserto, cactus e un cielo blu…
"Sto arrivando, Speedy Gonzales…sto arrivando…"

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