Era
il 23 dicembre, camminavo scontroso e acido lungo via Rizzoli, le due torri in
faccia a me e tanta gente in giro.
La
solita storia di sempre, era ormai Natale e io non ne volevo un cazzo, giravo
da due ore in caccia di regali e avevo rimediato la bellezza di un giornale
porno per quel maiale di mio cugino.
A
lui piacciono, giuro.
Un
vento gelido mi bloccava le idee che già non avevo e, insomma, la questione si
stava facendo un po' tragica.
Poi
successe una cosa strana, passando di fianco a un'agenzia di viaggi gli occhi
mi si fissarono su un poster gigante del Gran Canyon, quello che sta laggiù
negli States.
Prospettive
magiche ritagliate nella roccia e un cielo blu come i miei sogni.
Ero
completamente ipnotizzato, con la mente lontana da questo freddo gelido e da
questo grigio cemento, volavo fra le nuvole e scendevo in picchiata nella
natura più selvaggia, libero e leggero come un falco.
Poi
fui là.
Non
mi è molto chiaro quello che successe, non so se c'entri Babbo Natale o il Mago
Merlino o addirittura il Grande Puffo, però so che questa è una favola e
bisogna prenderla come viene.
Semplicemente
fui là, chiusi gli occhi nel gelo bolognese e li riaprii in mezzo al sole più
cocente, di fronte a un'infinita parete di roccia sgretolata e sotto un cielo
blu.
Blu
come i miei sogni.
Non
sapevo precisamente cosa fare, ero anche un po' stranito e mi stava salendo un
caldo infame, ringraziai sentitamente l'agenzia di viaggi e buttai via giacca
di pelle e maglione di lana.
In
jeans, maglietta e anfibi mi sentivo già più idoneo, come un Bruce Springsteen
d'annata alla ricerca della Strada del Tuono, lungo le infinite visuali del
sogno americano.
Al
solo pensarlo l'aria si riempì di un conosciuto e amato suono d'armonica e
Thunder Road partì, riempiendo di sé le vallate del Canyon.
"Sono
in acido" pensai, "sono in acido ed è un gran viaggio".
Iniziai
a camminare, cantando felice e ignorando direzione e obiettivi; in giro, ovvio,
non c'era nessuno.
Bruce
lasciò il posto ai rotolanti riff dei Creedence, vibrazioni di Stratocaster da
sgretolare i cactus e rock americano su queste vallate da vecchi apaches.
Ballavo
e cantavo e dopo anni, finalmente, non pensavo.
Poi
vidi una grotta, un opaco e fresco squarcio nella roccia, e mi avvicinai.
Ero
immerso nel viaggio western e vi entrai come John Wayne entra nei saloon,
spalle gobbe da uomo di fatica e passo trascinato, mano sulla tesa del cappello
che non avevo e due metri di statura psicologica.
Un
gran duro.
I
Creedence sparirono ma non vi fu silenzio, da dentro giungeva una voce triste e
melanconica, una roca voce vissuta che cantava amara, mentre una chitarra la
accompagnava lungo le melodie del blues.
Mi
fermai ad ascoltare e quasi mi misi a piangere, le parole le conoscevo ed erano
pure in italiano.
"Io
sono un poco di buono…lasciami in pace perché…sono un ragazzo di strada…e tu ti
prendi gioco di me…"
Ma
triste…
C'era
una luce tenue e mi avvicinai, un piccolo falò proiettava ombre sulle pareti e una
figura scura gli era seduta davanti, volgendomi le spalle.
Continuava,
tristissimo, a cantare, senza curarsi della mia presenza.
"Io
sono un poco di buono…"
Era
una figura molto strana… direi, senza offesa, pelosa… anzi molto pelosa, due
ciuffi gli spuntavano dalle guance e due orecchie lunghe e basse scendevano
fino alle spalle strette.
Il
tutto con del gran pelo.
Iniziai
a sospettare e feci altri tre passi.
Ormai
gli ero alle costole, lo vedevo a due metri da me, seduto di fronte al fuoco
mentre strimpellava la chitarra e contemplava una fotografia distesa davanti a
sè.
Non
avevo più dubbi, so che suona strano…incredibile…impossibile…ma so anche che
questa è una favola, quindi fidatevi…era lui.
"Willy…"
Si girò piano.
"Ciao John."
(John????)
"Willy,
che hai fatto? Mamma mia che faccia sbattuta…che c'è?"
"Siediti
John, siediti insieme a me, c'è tanto blues ancora da fare."
Mi
sedetti di fianco a lui, fissai gli occhi nel fuoco e presi il whiskey che mi
passava.
"C'è
che mi sono rotto i coglioni, John, ecco cosa c'è."
"Dai
Willy, ma come parli…ci sono i bambini che magari ci guardano e…"
"No
John, no…non ci sono più i bambini…ho smesso…non ci corro più dietro a quello
struzzo di merda."
Vidi
la foto, era Beep Beep in primo piano con un sorriso supponente e sprezzante.
Capii
il senso della canzone…
"Vent'anni
che gli corro dietro e mai che riesco a prenderlo, mi sono spiaccicato contro
ogni centimetro di questo fottuto canyon e…fa male sai, non alle ossa,
no…quelle sono di carta, fa male al cuore, John , anch' io ho una dignità e stà
urlando di dolore."
Ma
che tristezza…
Decisi
di aiutarlo, era un buon coyote dopotutto e aveva sempre lavorato con impegno e
passione, non meritava il destino ingrato che gli imponeva di far ridere.
E
poi sono o non sono John Wayne, difensore dei deboli e paladino degli
oppressi?!
(John Wayne?????)
"Dammi il whiskey Willy! Adesso studiamo un piano e domattina gli spappoliamo
la faccia, a quello struzzo fottuto."
Molto
western.
Anche
un po' punk, mi sembra.
Dopo
due ore e tanto whiskey, dopo lacrime e tanto blues il piano era pronto, al
mattino lo struzzo avrebbe avuto il fatto suo.
La
teoria che governava il piano era semplice: esso avrebbe funzionato perché
c'ero io, John Wayne, a cui tutto quaglia sempre per il verso giusto, l'eroe
così califfo da far riuscire qualcosa persino a Willy, che non ne becca
mai una.
Eppoi
è pur sempre una favola.
Prima
di coricarmi ebbi un'idea geniale per tirargli su il morale e forse
qualcos'altro, nella tasca dietro dei jeans avevo ancora il regalo per il mio
cuginetto, lo presi e glielo tirai.
"Tieni
Willy, questa è roba del nostro mondo, vedi un po' se ti piace…"
Quando
chiusi gli occhi stava ancora leggendo.
Non
cantava più però…
Al
mattino ci svegliammo parecchio stonati, Willy preparò fagioli stufati per
colazione e sentii nostalgia del vecchio cappuccino, magari con un bel
bombolone alla crema con sopra un casino di zucchero a velo oppure con dei
cannoli o addirittura, diomio, con dei croissant caldi con burro e marmellata di
ciliegie…
"John,
oh JOHN, SVEGLIA!!!!"
"Eccheccazzo
urli Willy, stavo sognando il mio dolce mondo, e poi basta con questa farsa,
non mi va di prenderti per il culo, io non sono John Wayne, chiaro?!"
Silenzio…
Willy
prese un pezzo di specchio e me lo passò.
John
Wayne.
Molto
semplicemente.
Ma
quello giovane, chiariamo, quello di Ombre Rosse per capirci.
"E
adesso, John… piantala di fare il bambino e mettiti il costume, lo struzzo ci
aspetta…hoka hey!"
See…manitu, squaw e tomahawak.
Il
piano era lineare e pulito: io mi vestivo da struzza e appena Beep Beep mi si
piantava davanti con fare perverso Willy gli spappolava la faccia con un fucile
a pompa da caccia grossa antistruzzo.
Avevo
molta fifa.
Presi
la roba da un armadio in cui c'era tutto e mi vestii. Ero anche carina, magari
un po' grossetta per la specie però col trucco giusto…
Già
col rossetto, le ciglia lunghe, il mascara e la cipria ero più presentabile,
con collant autoreggenti e borsetta rosso fiamma sembravo proprio una
struzza da strada, almeno da venti dollari.
Andai
a sistemarmi all'incrocio fra due vallate, sotto un cactus alto come un
lampione, Willy mi stava di fronte, sdraiato su un costone di roccia col fucile
spianato e vedi di prenderci, coyote della malora, vedi di prenderci.
Dopo
un'ora sotto il sole cocente e neanche un cliente vidi una nuvoletta di polvere
comparire all'orizzonte e spostarsi rapida verso di me, si avvicinava e urlava
"beep beep".
Mi
feci provocante: petto in fuori e aria lupa, il caldo mi aveva fornito quella
fragranza ascellare che tanto ingrifa gli struzzi.
La
nuvola si piantò davanti a me col tipico suono vibrato, "sdeeeng",
iniziò a diradarsi e comparve lui, sopracciglio alzato e sguardo languido, mi
prese la zampa destra ed eseguì un baciazampa.
Finsi
un mancamento estatico.
"Beep
beep" disse.
"Beep
beep" risposi.
Sai
mai cosa dirgli a uno struzzo allupato e anche un po' maiale.
Mi
squadrò tutta e mi imbarazzai alquanto.
"Questo
ci sa fare…" pensai.
Poi
esplose.
Si
sentì un busso tonante e la sua faccia di sesso e piume schizzò in mille
direzioni, il corpo rimase eretto e galante ma attaccato al collo non c'era più
niente.
Willy
cacciò un urlo profondo vent'anni e iniziò a correre come una scheggia per
tutto il canyon.
Divenne
una nuvoletta.
Quando
si calmò raccogliemmo l'ex struzzo e organizzammo un arrostino.
Con
un Barolo dell' 89 dell' armadio di Willy era davvero una delizia.
Ci
si sentiva felici e leggeri…fumammo sigari cubani sotto un cielo blu come i
nostri sogni.
"Che
farai ora Willy? Vieni con me nel mio mondo?"
"No
John, non me la sento, e poi devo aiutare un amico che soffre."
"Un
amico, qui nel deserto?"
"Oh
no, dovrò viaggiare un po' ma non è problema, anch' io vado veloce sai…comunque
andrò da lui, ha problemi simili ai miei…"
"Tom?"
"Gatto
Silvestro."
"Capisco..."
Quella
sera il Canyon suonò rotolante rock'n'roll, ballammo e bevemmo e ridemmo, Willy
cadde tre volte dalla rupe e si spiaccicò felice dopo voli di cento metri.
L'
alcol che saliva mi portava nostalgia di casa, guardai Willy per l' ultima
volta, chiusi gli occhi e sognai via Rizzoli.
"Sei
un buon coyote…" dissi sfumando.
Mi
ritrovai davanti all' agenzia di viaggi, nella grigia Bologna di cemento.
Ero
ancora in jeans, maglietta e anfibi, come un Bruce Springsteen d' annata che
sente un freddo bestia.
Fissai
d' istinto un poster gigante del Messico… deserto, cactus e un cielo blu…
"Sto
arrivando, Speedy Gonzales…sto arrivando…"
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